Essere consapevoli della realtà, del presente che è vissuto, significa scoprire
che in ogni istante l’esperienza è tutto. Non
c’è nient’altro oltre a essa: nessuna esperienza di un ‘tu’ che sperimenta
l’esperienza.
Anche nei più evidenti momenti di autocoscienza, il ‘sé’ di cui siamo consci è
sempre un qualche particolare sentimento o sensazione: di tensione muscolare,
caldo o freddo, dolore o irritazione, respiro o sangue che pulsa. Non
c’è mai la sensazione di ciò che sente la sensazione,
proprio come non c’è alcun senso o possibilità nella nozione dell’odorarsi il
naso o del baciarsi le labbra. Nei periodi di felicità o
piacere, di solito siamo abbastanza pronti a prendere
coscienza dell’istante e a lasciare che l’esperienza sia tutto.
In questi momenti ‘dimentichiamo noi stessi’ e la mente non compie alcun
tentativo di dividersi da se stessa, di separarsi dall’esperienza. Ma con
l’arrivo del dolore, fisico o emotivo, effettivo o previsto, ha inizio la
frattura e il cerchio si allarga sempre più.
Non appena diventa chiaro che l’ ‘Io’ non può assolutamente sfuggire alla realtà
del presente, perché l’ ‘Io’ non è nient’altro che ciò che conosco ora, questo
scompiglio interno deve cessare. Non resta alcun’altra possibilità se non la
presa di coscienza del dolore, della paura, della noia o della sofferenza nella
stessa maniera completa in cui si è coscienti del piacere. L’organismo umano ha
le più meravigliose facoltà di adattamento sia al dolore fisico sia a quello
psichico. Ma queste possono funzionare appieno solo quando il dolore non viene
continuamente ristimolato da questo sforzo interiore di liberarsene, di separare
l’ ‘Io’ dalla sensazione. Lo
sforzo crea uno stato di tensione in cui il dolore aumenta. Ma quando la
tensione cessa, mente e corpo incominciano ad assorbire il dolore come l’acqua
reagisce a un colpo o a un taglio.