"Lo sforzo di fare sforzi" (Alan W. Watts)
la meditazione come via
tra vipassana e zazen




 

home

presentazione

meditare

le lezioni

buddhismo

zen

tantra

gli esercizi

testi

poesie

bibliografia

insegnante

dizionario zen

stampa

cerca nel sito

email

seminari

newsletter


 


 

"Lo sforzo di fare sforzi" (Alan W. Watts)


Leggiamo per l'ultima volta alcuni brani tratti da L'arte della contemplazione di Alan W. Watts:

[(Qui parla del praticante in meditazione)] "Uno non ascolta - ma semplicemente ode tutti i suoni che stanno emergendo dal silenzio, senza fare alcuno sforzo per collocarli o identificarli. Così pure, uno non guarda, ma solo vede la luce, il colore e la forma giocare con gli occhi, come se anch'essi emergessero momento per momento, dal vuoto. Similmente i pensieri sono trattati: allo stesso modo dei suoni e, se sorgono, sono semplicemente osservati nel loro andare e venire senza (formulare) commento, «ascoltandoli» allo stesso modo che uno ascolterebbe il cinguettio degli uccelli sul tetto. [...]
È possibile che durante la contemplazione vi sia il sorgere di visioni o di stati estatici di coscienza, ed è una tentazione naturale il pensare ad essi come al fine della contemplazione. Tuttavia, il tentativo di prolungare questi stati, o di riconquistarli quando stanno scomparendo, è come contrarre i muscoli facciali per vedere chiaramente, ed è uno sforzo per interrompere il flusso naturale di quanto sta accadendo ora. [...] La contemplazione cessa non appena vi è una qualsiasi ricerca di risultati. [...]
Noi abbiamo imparato, per lo più da bambini, a esercitare un atto di vigore facendo cose che richiedono vigore. Eppure lo sforzo di fare sforzi, essendo sovrabbondante, nuoce all'impiego dell'energia muscolare, poiché queste sforzi diventano sforzi contro lo sforzo, ostacoli autoimposti. È come se, tirando, i tricipiti lavorassero contro i bicipiti. Quando questo sovrabbondante impiego di sforzo scompare, diventa ovvio che le decisioni di fare questo o quello, e le conseguenti azioni fisiche, accadono da se stesse come ogni altra cosa.
L'operazione libera infatti non è di certo causata da un «io» puramente astratto. Essa sorge dall'intelligenza totale dell'organismo, allo stesso modo dello sviluppo del cervello o della digestione del cibo, e richiederà l'impiego del ragionamento consapevole nelle situazioni in cui il ragionamento sia uno strumento appropriato" (pp. 107-115).

Qualche parola di commento relativamente alla seconda parte del brano.
Siamo ovviamente abituati a sforzarci per ciò che richiede sforzo. Ma questo atteggiamento crea una memoria sedimentata, un'abitudine, che è controproducente: lo sforzo di fare sforzi. E questo sforzo di fare sforzi ha una caratteristica estremamente deturpante, ovvero l'agire in uno stato di contrazione sempre eccessivo rispetto a ciò che sarebbe dovuto. Qualcosa di contrario all'azione pura, azione che invece nasce liberamente da sé, con lo sforzo strettamente necessario al suo compiersi, e che si origina e si svolge senza alcun senso di un io a deciderla, a preventivarla, a progettarla, a metterla in atto.
Dietro allo sforzo non necessario, dietro alla filosofia dello sforzo di fare sforzi c'è tutta una visione della vita. Quella all'insegna dell'io da una parte e il resto della realtà dall'altra. Quella della lotta. C'è invece un'altra possibilità, una intelligenza che sorga non dal mentale, non dall'io, ma dalla realtà tutta dell'essere umano, nella quale il pensiero prodotto non svolga altro compito che non la soluzione a una situazione che strettamente lo richieda?