All'inizio della lezione abbiamo letto una poesia sulla
compassione di Thich Nhat Hahn, monaco zen vietnamita molto impegnato sul fronte
del cosiddetto 'Buddhismo impegnato' e che tempo fa fu in odore di premio Nobel
per la pace.
"Chiamatemi con i miei veri nomi
Non
dire che domani scomparirò, perché io arrivo sempre.
Guarda in profondità: io arrivo ogni secondo, per esser un germoglio sul ramo a
primavera;
per essere un minuscolo uccellino con le ali ancora fragili che impara a cantare
nel suo nido;
per essere un bruco nel cuore di un fiore; per essere un gioiello che si
nasconde in una pietra.
Io arrivo sempre, per ridere e per piangere, per temere e per sperare.
Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che è vivo.
Io sono un insetto che muta la sua forma sulla superficie di un fiume.
E io sono l'uccello che, a primavera, arriva a mangiare l'insetto.
Io sono una rana che nuota felice nell'acqua chiara di uno stagno.
E io sono il serpente che, avvicinandosi in silenzio, divora la rana.
Sono un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di
bambù,
e io sono il mercante che vende armi mortali all'Uganda.
Io sono la bambina dodicenne profuga su una barca,
che si getta in mare dopo essere stata violentata da un pirata.
E io sono il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare.
Io sono un membro del Politburo, con tanto potere a disposizione.
E io sono l'uomo che deve pagare il "debito di sangue" alla mia gente,
morendo lentamente in un campo di lavori forzati.
La mia gioia è come la primavera, così splendente che fa sbocciare i fiori su
tutti i sentieri della vita.
Il mio dolore è come un fiume in lacrime, così gonfio che riempie tutti i
quattro oceani.
Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io possa udire tutti i
miei pianti e tutte le mie risa insieme,
cosicché io possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola.
Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io mi possa svegliare
E cosicché la porta del mio cuore sia lasciata aperta, la porta della
compassione".
Poi
abbiamo iniziato la pratica.
Oggi, oltre all'esercizio dell'anapanasati (consapevolezza del respiro), alla
meditazione in camminata e all'esercizio del fare vuoto, abbiamo introdotto
l'esercizio sulla consapevolezza delle parti del corpo che poggiano: il sedere,
il ginocchio destro, il ginocchio sinistro, il palmo destro, il palmo sinistro,
il piede destro, il piede sinistro. Ad ogni parte abbiamo dedicato qualche
minuto, sempre seduti al modo dell'anapanasati: essere consapevoli della parte
che appoggia - per esempio il sedere - vuol dire sentire il peso del nostro
corpo lì, sentire le parti che poggiano di più rispetto a quelle che
poggiano meno, la zona destra, la zona sinistra: sentire nel senso più pieno
del termine, essere consapevoli di una sensazione che c'è, ma di cui siamo di
solito dimentichi. Può capitare che una zona che stiamo investigando non riesca
a trasmetterci alcun tipo di sensazione: questo per uno dei seguenti due motivi.
O questa zona effettivamente non appoggia (per esempio, quando spostiamo la
consapevolezza su una nostra mano, può capitare che il polpastrello di un dito
sia appoggiato sul ginocchio, ma che la seconda e la terza falange non siano a
contatto), e dunque, dato che il nostro esercizio è finalizzato alle parti che
poggiano, si passerà ad un'altra zona della parte del nostro corpo su cui ci
stiamo esercitando. Oppure quel punto che stiamo investigando è effettivamente
a contatto, ma non lo sentiamo: in questo caso basta una piccola pressione, di
un quarto di secondo circa, perché si riesca ad 'agganciare' la sensazione di
cui vogliamo essere consapevoli.
Alla
fine della lezione abbiamo dedicato un po' di tempo al nostro corso sul pensiero
del Buddha, cominciando ad analizzare, più da vicino, il 'retto sforzo' (clicca
qui).