Un piccolo regalo natalizio: L'ultima parola - 1959 (Jack Kerouac)
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Un piccolo regalo natalizio: L'ultima parola - 1959 (Jack Kerouac)


Poiché nessuno di noi vuole pensare che l’universo sia un sogno vuoto dovuto alla nostra mente, vogliamo delle convinzioni, molti nomi, vogliamo elenchi di leggi e una certa sdegnosa distanza dal puah senza volto del Vero Cielo, ora vedo uomini che se ne stanno in piedi in campi deserti ad agitare zelantemente le mani per spiegare, ma non sono che fantasmi, meri insignificanti fantasmi. E persino i grandi cinesi che da lungo tempo sanno tante cose si ostinano a dipingere delicatamente sulla seta i cieli alti della Nuvola della Verità che conducono sopra incredibili monti dalle gobbe di rose e alberi scricchiolanti, indefinibili cascate di bianco, poi il gracile albero terrestre torto verso la pietra, poi, poiché sono Cinesi Umani, omini a cavallo perduti in tutto questo, di solito lasciando otto decimi della seta superiore a sondare l’insondabile Vuoto... Così fui più saggio quando, più giovane, dopo una brutta storia d’amore me ne stetti seduto nella mia solitaria stanza novembrina a pensare: “È tutto una gran vaccata, voglio morire”, e a pensare: “Le labbra del morto sono premute ad assaporare la morte, amara come arido muschio, ma per quanto ne sa potrebbe anche stare assaporando zucchero”, e tuttavia questi pensieri non resistettero alle Quattro Nobili Verità come furono esposte da Buddha e che ho imparato a memoria sotto un lampione nel vento freddo della notte:

  1. tutta la vita è dolore.
  2. La causa del dolore è il desiderio ignorante.
  3. Si può arrivare alla soppressione del dolore.
  4. La via è il nobile ottuplice sentiero (e questo, potremmo anche dire, è altrettanto esplicito nelle Variazioni Goldberg di Bach).

Chi non lo sa potrebbe anche dire: 

  1. tutta la vita è gioia.
  2. La causa della gioia è il desiderio illuminato.
  3. Si può arrivare all’accrescimento della gioia.
  4. La via è il nobile ottuplice sentiero.

Poiché qual è la differenza, nella realtà suprema, non siamo soggetti né al dolore né alla gioia – perché no? – perché chi lo dice?
Ma sono state le impareggiabili parole di Asvaghosha ad attirarmi verso la vera morfina di Buddha: “riposa al di là del fato” – poiché dal momento che la vita non è altro che un breve e vago sogno avvolto in carne e lacrime, e i modi dell’uomo sono i modi della morte (se non ora, lo vedrete alla fine), i modi delle belle donne come quelle raffigurate in questa rivista sono, in conclusione, i modi della vecchiaia, e poiché nulla di ciò che facciamo, alla fine, sembra andare per il verso giusto, tutto inacidisce, ma non più di quanto disponga la Natura che ha bisogno di fertilizzante per i continuatori e i continuati, “riposa al di là del fato” significava “riposa al di là di quanto ti accade”, “rinuncia, siediti, dimentica, smetti di pensare”, la tua mente individuale è più grande di tutto. Così questa mia prima meditazione si risolse nella tremenda sensazione che dà il domandarsi: “Quando l’ho fatto l’ultima volta?” (sembrava così naturale così giusto). “Perché non l’ho fatto prima?” – E ogni cosa svanì, ciò che rimase fu la Materia Aggregata di cui tutte le cose sembravano essere fatte benché nessuna, in realtà, fosse fatta, e allora vidi in ogni cosa un trucco inconsistente della mente, per di più era tutto già da tempo scomparso alla vista, la liquida boccia terrestre una macchia nello spazio smisurato ma poi oh...
Ma è proprio un vuoto desolato, come sono estranei alla nostra (di alcuni di noi) dolce speranzosa natura i ciechi vermi che mangeranno i nostri amati organi, le nostre amate mani, i nostri santi nasi, le nostre rievocate bocche, la carne su di noi che per settant’anni brucia davanti agli occhi, brucia a fuoco lento, impersonale come se una bomba all’idrogeno in un attimo dovesse far esplodere la terra e trasformarla in una rovinosa palla di fuoco come più e più volte profetizzato. Ecco perché quando non molto tempo fa protesi le mie labbra verso il collo della mia amata mi sembrò effimero pensare: “Questo è il suo collo? Il suo collo suo, il collo di cui può dire è mio?” perché quello non è proprio il collo di nessuno poiché lì non c’è altro che l’immaginario concatenamento mentale. Così oh l’estasi di quella prima meditazione quando chiusi gli occhi e vidi sciami dorati di nulla, la cosa vera, la quiddità della Creazione... Noi tutti frammenti della Materia Aggregata che per un attimo ci solleviamo in forma ammantata, ad agitare per un minuto la mano (settant’anni tra gli incuranti miliardi di anni), bling, collo incurante graziosi esseri umani e tutti gli animali e gli insetti e le creature di altri pianeti convinti di avere un vero io chissà dove chissà come in questo mare di dorato nulla. La polvere afferra un volatile, poi si ripiega, volubile come un piccolo tornado nelle Pecos Plains del Texas che vedi turbinare tra la sabbia davanti agli occhi di nessuno, e quando cala la notte dov’è andato? Batti le mani, bel Buddha!
Nei miei libri antichi ho letto che Bodhisattva disse: “Tutte le creature viventi che si allenano ad ascoltare il Silenzio udranno il Paradiso” (la benedizione che penetra le apparenze), “otterranno l’inottenibile, accederanno all’inaccessibile, attraverseranno il fiume col battello e raggiungeranno l’altra sponda” e (niente fiume, niente battello, niente altra sponda) quando arriva Capodanno mia madre e io brindiamo alla nostra salute con un Martini e lei dice “Felice anno nuovo, caro ragazzo, e spero che sarai felice” e alla televisione suonano pifferi e trombette (e in soffici letti i bambini si svegliano al rintocco della mezzanotte) vedo che ho raggiunto l’altra sponda perché non m’importa più della “felicità” in questo o in qualsiasi altro mondo, “arrivare all’altra sponda” significa soltanto avere capito che non c’è nulla da agognare, nulla da pensare, la mia Essenza della Mente, l’Unico Mare universale delle misteriose facoltà mentali, così tra me sollevo il calice a mia madre e a tutte le creature (mentalmente) augurando loro la Dolce Verità del Dharma, invece di un felice “Anno Nuovo”, la dolce Verità del Dharma, il riconoscimento irriconoscibile, ciò che cancella (come la neve cancella) la cancellabile penosa grazia della terra orchesca.
“Ai migliori manca ogni convinzione” diceva Yeats, perché come dicono gli antichi cinesi: “Colui che sa non parla”.