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"Al sé è essenziale l'autonegazione" (Shizuteru Ueda)
Continuiamo a leggere alcuni brani tratti dal volume Zen e filosofia di Shizuteru Ueda:
"Noi innanzitutto e per lo più siamo
intrappolati in una perversione del sé, rispetto alla quale dobbiamo
assolutamente compiere un’inversione. Prima il vero sé è stato presentato come
il movimento da sé a sé. Ma uno sviluppo sbagliato di tale «da sé a sé» può
anche condurre a che sé e sé si attacchino a vicenda, in modo che dal sé senza
sé nasce un sé chiuso in se stesso. Questo sé dice ugualmente «io sono io», ma
ora sulla base non più del movimento senza sé, bensì di un «io sono io, poiché
io sono io». L’«io» non è più solcato dal fatto che io non sono io. Questo io
chiuso in se stesso, autosostanzializzante impossessarsi di sé, in breve l’io-sono-io,
è una fondamentale perversione dell’originario sé senza sé.
[...] Questo io-sono-io provoca la cosiddetta «triplice intossicazione» dell’io,
ossia la cecità nei confronti di se stessi, l’odio verso gli altri e l’avidità.
In ciò l’io è, nel contempo, causa ed effetto di questo veleno. [...] Il cammino
verso il vero sé può essere aperto solo dal vero sé che percorre il cammino come
un movimento. Il cammino, essendo aperto da un vero sé attraverso il suo
movimento da sé a sé, è, in quanto cammino del vero sé, il cammino al vero sé
per noi. [...]
Nel cammino è altresì importante un superamento del principio di volontà. La
decisione volontaria di percorrerlo dovrebbe in tal caso chiamarsi: decisione
volontaria di superare il principio di volontà. [...] Vengono connessi due
opposti ma necessari momenti: la decisione, che vuole superare il principio di
volontà, e nel contempo l’abbandono, che lascia perdere anche il voler superare
la volontà. [...]
Da un lato, possiamo
intendere per «sé» qualcosa (qualcuno) che dice: io sono io. Colui che dice «io
sono io», quello deve essere definito come il sé. In questo contesto il sé non è
affatto identico all’io [...]. Il sé è più dell’io, eppure anche molto più
modesto dell’io, se così si può dire. Il sé è più dell’io, poiché esso è insieme
il fondamento per poter dire «io sono io». [...] «Io sono io, non essendo io».
[...] Con ciò, proprio sul non-fondamento di un «fondamento» che dice «non
essendo io», il sé è e-staticamente unito in un solo Aperto con la natura e la
comunità umana. [...] Eppure il sé è anche molto più modesto dell’io, poiché al
sé è essenziale l’autonegazione («non essendo io»)" (dall'articolo «Fenomenologia del sé nella
prospettiva del buddhismo zen»).
Solo una precisazione. Ueda dice che "il
sé è e-staticamente unito in un solo Aperto con la natura e la comunità umana",
volendo intendere con il termine "e-staticamente" una condizione di apertura
all'Aperto, di svuotamento dell'io (appunto: "non essendo io"), in un movimento
di svincolamento dall'io inteso come auto-affermazione sostanzializzante. "E-staticamente"
quindi come uscita dall'io-ego o, come si dice spesso nel buddhismo,
dall'"io-mio".
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