Leggiamo anche oggi alcuni brani tratti dall'articolo «La pratica dello zen»,
che compare nel volume Zen e filosofia di Shizuteru Ueda:
"Lo zazen [...] è «non fare niente», in modo che
durante lo zazen «niente» accade. Dal momento che è da questo stato di
nullità che ci alziamo, l'alzarsi può essere visto come una sorta di evento
originario. [...]
Nel momento in cui ci alziamo ci sono oggetti, ovvero ci sono cose
separate dal sé che si alza e poste di fronte ad esso. Lo zazen è un modo
di essere in cui non si è di fronte a nessuna cosa; si è semplicemente aperti
all'infinito Aperto e perciò non si possiede alcun sé. Tuttavia, appena ci
troviamo in piedi, esistiamo in quanto sé di fronte ad altre cose, in un modo
d'essere completamente nuovo e differente. [...] Quando ci si alza dall'infinito
Aperto dello zazen, si ritorna a un'esistenza «nel mondo». [...] Eppure
questo mondo al quale torniamo [...] è circoscritto entro l'infinito Aperto
esperito durante lo zazen. Siamo nel mondo, eppure in qualche modo
restiamo nell'infinito Aperto che avvolge e trascende il mondo. [...] Il mondo è
così com'è, eppure è impregnato di un infinito Aperto. [...]
Quando ci si alza dallo zazen, appaiono cose che, come oggetti, si
pongono di fronte al sé. [...] Il modo in cui incontriamo questi «oggetti»
dipende dalla profondità del nostro zazen. [...] Il mondo che costituisce
il luogo dell'incontro è circondato da un infinito Aperto e dotato di
un'infinita profondità. Così, le cose incontrate sono esperite come fossero
anch'esse estremamente profonde [...].
Quando ci alziamo dallo zazen, appare da lontano qualcosa di personale,
colmo dell'illimitatezza dell'infinito Aperto e dell'infinita profondità. [...]
Esaminiamo poi in che modo abbiamo a che fare con le cose che incontriamo quando
ci alziamo dallo zazen. La reazione primaria a questi oggetti è il culto.
[...] In definitiva, quando ci si trova di fronte ad una cosa dopo essersi
alzati dallo zazen, il sé ritorna ancora una volta allo stato di nullità,
e da questa condizione di illimitata profondità, riceve l'oggetto di nuovo.
Questo è culto [...]. Il culto è l'accettazione del fatto fondamentale che
«l'altro» esiste".