La ricerca del toro - 6
la meditazione come via
tra vipassana e zazen




 

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La ricerca del toro - 6
 

 

Tornare a casa sul toro

Senza fretta cavalco il toro diretto a casa.
La melodia della mia canzone saluta la sera.
Batto il ritmo, mi sento in armonia.
Non c’è bisogno di dire
Che ora sono uno di quelli che sanno.

Commento:

La lotta è finita. Il mandriano non è più preoccupato di farcela o di non farcela. Sussurra una semplice canzone agreste. A cavallo del toro, la sua attenzione non si concentra sulle cose di questo mondo. Va avanti, senza badare a ciò che potrebbe tentare di attirarlo indietro.

 

 

 

Questa è l’ultima icona in cui compare il toro. Cosa vuol dire? Significa che è l’ultimo stadio nel quale vi è ancora dualismo tra mente e pensieri, tra mente e corpo, tra mente illuminata e mente quotidiana. Comunque “la lotta è finita”: non c’è più preoccupazione. Questa assenza di preoccupazione già preannuncia il definitivo superamento del dualismo: la preoccupazione infatti segnala il desiderio tenace di risoluzione del problema vissuto dal mandriano. C’è qualcosa che vivi come ostruente e allora ti preoccupi. La preoccupazione è doppia: prima ti accorgi che qualcosa non và, poi – una volta intrapresa una via di correzione – ti preoccupi che questa non ti conduca alla risoluzione della questione. Ecco: tutto questo non c’è più.
Si è quindi “senza fretta”: ci si sente in armonia, non c’è nessuna necessità di correre, di cercare, di dibattersi nel tentativo di fuga da una certa situazione subita come inopportuna, negativa, erronea. Eppure c’è ancora una direzione: la non ancora abbandonata presenza della mente fa qui capolino. Il toro è infatti “diretto a casa”. Finché ci sarà la separazione tra il toro che cammina verso casa e la casa stessa, saremo ancora nel dualismo. Anzi, la stessa consapevolezza di un toro e di una casa è dualistica. Il mandriano, seppur già estraneo alla strettoia della concentrazione “sulle cose di questo mondo”, nonostante l’abbandono da parte sua del pensiero opprimente di possibili nuovi errori, di ricadute future più o meno imminenti, è ancora sulla via del ritorno. Segue il suo percorso, ritiene la pratica una disciplina che lo allontani da un certo stato mentale per condurlo a casa. Suona la sua canzone, ma quando non ci sarà più il suonatore e il flauto suonato, cosa resterà?
Qui il mandriano non saprebbe dire una sola parola.
Un'ultima cosa. La canzone è agreste: è il classico approccio zen alla natura. L'uomo con mente naturale è inserito armoniosamente nella natura, tra gli enti di questo universo, non vivendoli più come ostacolo alla propria vita. Eppure Kakuan ci dice anche che il mandriano non si concentra più sulle cose di questo mondo. Il motivo è molto semplice, non si tratta di una contraddizione. Il fatto è che solo passando dalla brama (che ci incatena alle cose) alla libera e liberante fruizione d
ella piena realtà, si può vivere naturalmente, con mente aperta allo splendore delle cose, della loro realtà e della loro mutevolezza. Non più contratti, concentrati, ma consapevoli, sciolti; non più coattamente proiettati "sulle" cose di questo mondo, ma "tra" di esse, con atteggiamento libero e vuoto, pacificato e partecipante.