"Il fiore del momento presente" (Henry David Thoreau)
la meditazione come via
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"Il fiore del momento presente" (Henry David Thoreau)


Anche questa settimana abbiamo letto qualcosa dal testo di Paolo Subioli, Zen in the city. Sono due brani. Il primo è di Thich Nhat Hanh:

"Nella nostra società, abbiamo la tendenza a considerare il non fare niente come qualcosa di negativo, se non addirittura di malvagio. Ma quando ci perdiamo nelle attività, non facciamo altro che diminuire la qualità della nostra vita. Facciamo a noi stessi un disservizio. È importante, invece, preservare noi stessi, la nostra freschezza e il buon umore, la nostra gioia e la compassione. Nel Buddhismo, coltiviamo l'«assenza di scopo», e infatti, nella tradizione buddhista, la persona ideale, un «arhat» o «bodhisattva», è una persona poco occupata, qualcuno senza un posto preciso dove andare o qualcosa da fare. La gente dovrebbe imparare come stare lì semplicemente, non facendo niente. Provate a passare una giornata senza fare niente; noi la chiamiamo una «giornata pigra». Eppure [...] non è facile essere e basta. Se riuscite a essere felici, rilassati e sorridenti, quando non state facendo qualcosa, siete abbastanza forti. Non fare niente porta qualità nell'esistenza, ed è molto importante. Così, non fare niente è veramente qualcosa. Per favore, scrivetelo e mettetelo in evidenza all'interno della vostra casa: Non fare niente è qualcosa" (pp. 119-120).

Il secondo brano è di Henry David Thoureau, tratto dalla sua opera più famosa Walden, ovvero Vita nei boschi:

"A volte non potevo permettermi di sacrificare a nessun lavoro, sia mentale che materiale, il fiore del momento presente. Amo che ci sia un largo margine di respiro, nella mia vita. Talvolta, qualche mattina d'estate, dopo aver fatto il solito bagno, sedevo sulla soglia della capanna, dall'alba al tramonto, rapito in fantasticherie, tra i pini e i noci americani e i sommacchi, in solitudine e silenzio indisturbati, mentre gli uccelli cantavano attorno o svolazzavano quieti per la casa, finché, o il sole che penetrava attraverso la mia finestra a Occidente, o il rumore del carro di qualche viaggiatore, lontano, sulla strada maestra, mi facevano ricordare lo scorrere del tempo. [...] Quel tempo non fu sottratto alla mia vita, ma mi veniva concesso in sovrappiù, oltre a quello che usualmente mi è elargito. [...] Per la maggior parte, non mi curavo che le ore passassero. Il giorno avanzava come per illuminare qualche mio lavoro; era mattina e guarda! adesso è sera, e io non ho fatto nulla degno di nota. Invece di cantare come gli uccelli io sorridevo alla mia fortuna [...].
Agli occhi dei miei concittadini, questo mio modo di vivere appariva, senza dubbio, estremamente ozioso; ma se, invece, i fiori e gli uccelli avessero pensato di giudicarmi in base alla loro maniera di vivere, certamente non sarei stato trovato in difetto. [...] Rispetto a quelli che erano obbligati ad andare in società o a teatro per divertirsi, io, nella mia maniera di vivere, avevo per lo meno il vantaggio che la mia vita stessa era diventata il mio divertimento, e che non cessava mai d'essere nuova" (pp. 120-121).