"Chi è colui che contempla?" (Daisetz Teitaro Suzuki)
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"Chi è colui che contempla?" (Daisetz Teitaro Suzuki)


Continuiamo a leggere qualche brano dai Saggi sul Buddhismo Zen di D.T. Suzuki. Qui Suzuki narra del colloquio tra il quarto patriarca, Tao-hsin e Fa-jung:

"Tao-hsin, avendo saputo che un uomo straordinariamente santo viveva sulle montagne di Niu-t'ou, decise di andare a conoscerlo. Giunto ad un tempio buddhista fra quei monti, Tao-hsin si informò circa la persona ed apprese che era un anacoreta il quale mai si alzava dal suo posto né salutava coloro che gli si avvicinavano. Tao-hsin continuò la sua via fra i monti e alla fine vide l'uomo, era proprio quale gli era stato descritto; stava seduto calmo e non fece alcuna attenzione all'arrivo dello straniero. Tao-hsin chiese all'eremita che cosa facesse in quel luogo. «Contemplo lo spirito», fu la risposta. Allora Tao-hsin domandò: «Chi è colui che contempla? Che è lo spirito che egli contempla?». Fa-jung non era preparato a rispondere a simili questioni. Pensando che il visitatore fosse un uomo di profondo sapere, si alzò, lo salutò e gli chiese il nome. Venuto a sapere che non era altri che Tao-hsin, la cui fama gli era già nota, lo ringraziò per essere venuto a visitarlo. Stavano per entrare in una capanna vicina per conversare sulla dottrina, quando Tao-hsin vide animali selvaggi, tigri e lupi, che erravano nei pressi, per cui alzò le braccia, come per terrore. Fa-jung osservò: «Vedo che è tuttora in voi». Il quarto patriarca replicò subito: «Che vedete ancora?». L'eremita non rispose. Dopo un poco, il patriarca segnò il carattere «Buddha» sulla pietra sulla quale Fa-jung era uso sedersi quando contemplava. Ciò vedendo, questi sembrò scandalizzato. Il patriarca disse: «Vedo che è tuttora in voi». Fa-jung non riuscì a cogliere il significato di questa osservazione e lo implorò di istruirlo nella verità suprema del buddhismo" (dal cap. IV, par. III).

Contemplare lo spirito - l'affermazione dell'eremita - è porsi in un atteggiamento di dualismo, che è separativo. È un cercare, un uscire: nella contemplazione dello spirito c'è la separazione del contemplatore dall'oggetto contemplato. Ancora meglio: nella contemplazione dello spirito, c'è la creazione del contemplatore in quanto soggetto che contempla un oggetto, anch'esso prodotto da questa contemplazione stessa, che si pone come altro dal soggetto. Quando Tao-hsin fa questa osservazione, Fa-jung è colto impreparato, non può rispondere. In realtà, alle domande di Tao-hsin non c'è alcuna risposta da dare: chi è che contempla? cosa viene contemplato? Nel momento nel quale viene a mancare la separazione, non c'è nessuno che contempli e nulla che venga contemplato. Ma Fa-jung non è a questo livello di comprensione: non sa rispondere, credendo che vi sia da rispondere. Non capisce che le domande di Tao-hsin in realtà sono retoriche, sono delle affermazioni.
Cosa succede poi in prossimità della capanna? Tao-hsin ha un moto di paura davanti agli animali selvaggi e Fa-jung osserva che quello spirito cui non aveva saputo dare nome prima era in lui, in Tao-hsin, pure in questa occasione di uscita da sé, dal suo centro. Ha una sua sottigliezza questa affermazione: la natura autentica è sempre presente, è sempre agente. Tuttavia è come dire, da parte di Fa-jung: non so dargli nome, ma è quella cosa lì! Ha abbandonato i nomi, ma non ancora l'idea di una cosa da ritrovare in se stesso (lo spirito, la vera natura). Il patriarca ricambia con una battuta: vedi lo spirito? e poi? cosa altro vedi? E dopo continua: buddhità è in nessun luogo e ovunque. Non è una cosa, intesa come potrebbe essere inteso uno spirito, ma è una non-cosa. Non è dentro rispetto al fuori, non è lontana, rispetto al vicino. Fa-jung si sedeva su quella pietra per ricercare e contemplare il suo spirito, quello spirito che non è uno spirito, che non è da cercare, che è già lì, presente, fin dall'origine: addirittura sulla pietra stessa, nella metafora usata da Tao-hsin. E allora quel "Che vedete ancora?" è anche un condurre a un cambiamento dello sguardo, piuttosto che a una ricerca dello spirito. Guarda dentro, guarda fuori, guarda lontano, guarda vicino, guarda interiormente... Tutto è nella buddhità.
Quindi Fa-jung si scandalizza. Il Buddha, dove io poggio il mio sedere? Blasfemia! Ma cosa significa scandalizzarsi? Non è ancora operante la natura buddhica, anche in questo caso? Non lo aveva già ammesso lo stesso Fa-jung precedentemente, in modo inesatto, incompleto, con quel suo dire che comunque aveva in sé qualcosa di vero? "Vedo che è tuttora in voi": non te ne allontani, non lo catturi, non è distante, non è vicino, non lo afferri. C'è sempre, ma non è qualcosa che sia, di cui si possa dire: c'è.