"Concepire la verità come qualcosa di esterno" (D. T. Suzuki)
la meditazione come via
tra vipassana e zazen




 

home

presentazione

meditare

le lezioni

buddhismo

zen

tantra

gli esercizi

testi

poesie

bibliografia

insegnante

dizionario zen

stampa

cerca nel sito

email

seminari

newsletter


 

 


"Concepire la verità come qualcosa di esterno" (D. T. Suzuki)


Continuiamo a leggere qualche brano dai Saggi sul Buddhismo Zen di D.T. Suzuki:

"Concepire la verità come qualcosa di esterno che il soggetto deve apprendere, è una veduta dualistica che può riflettere le condizionalità proprie al comune intelletto ma che non corrisponde a ciò che lo Zen afferma; secondo lo Zen, noi viviamo direttamente nella verità e grazie alla verità, che dunque non ci può essere esterna. Hsuan-sha (Gensha) dice: «È come se, immersi fin sopra la testa nell'acqua del grande oceano, tendessimo le braccia ad implorare acqua!». Così quando un monaco gli chiese: «Che è il mio Io», egli subito rispose: «Che te ne faresti, di un Io?». In termini intellettuali, egli intendeva dire che, non appena cominciamo a parlare di un Io, noi stabiliamo inevitabilmente il dualismo di Io e non-Io, cadendo nell'errore del pensiero discorsivo. Noi ci troviamo nell'acqua, questo è il fatto; dunque rimaniamoci, direbbe lo Zen, perché se ci diamo a chiedere acqua creeremo un rapporto di esteriorità rispetto ad essa, e quel che fino ad allora era stato nostro ci sarà tolto. [...]
Lo Zen non fa mai appello alla nostra facoltà raziocinante, ma punta direttamente sull'oggetto. In una certa occasione, Hsuan-sha offriva il tè ad un ufficiale di nome Wei, che gli chiese: «Che si vuol significare quando si dice che, pur avendolo ogni giorno, noi non lo conosciamo?». Invece di rispondere, Hsuan-sha prese un pezzo di dolce e glielo offrì. L'ufficiale mangiò il dolce, poi ripeté la domanda, al che il maestro disse: «È che non lo conosciamo perfino quando l'usiamo ogni giorno». Un'altra volta venne da lui un monaco che voleva sapere come si entra nel sentiero della verità. Hsuan-sha chiese: «Odi il mormorio del ruscello?». «Sì, lo odo», disse il monaco. «Ecco un modo per entrare», fu l'insegnamento del maestro. Il metodo di Hsuan-sha consisteva dunque nel far sì che il ricercatore della verità realizzasse direttamente in sé ciò che essa è, invece di trasmettergli una conoscenza di seconda mano.
[...] Se alzo così la mano, c'è lo Zen. Ma se affermo di aver alzato la mano, non c'è più lo Zen. [...] Un'affermazione è Zen solo in quanto atto, non in quanto ci si riferisce a quel che con essa viene affermato. Nel dito puntato verso la luna non vi è Zen, ma se si considera il dito puntato in se stesso, fuori da ogni riferimento esterno, in esso vi è Zen" (dal cap. VI, parr. VII-VIII).