"L'arte di vedere nella propria natura" (Daisetz Teitaro
Suzuki)
Oggi iniziamo a leggere qualche brano dai Saggi sul Buddhismo Zen di D.T.
Suzuki. La natura abbastanza semplice e discorsiva del procedere di Suzuki ci
permette di fare citazioni di una certa lunghezza, senza necessità di ulteriori
commenti da parte nostra:
"Nella sua natura, lo Zen è l'arte di vedere nella propria
natura. [...]
Come la natura ha orrore per il vuoto, così lo Zen aborre tutto ciò che può
inserirsi fra noi e i dati immediati dell'esperienza. Secondo lo Zen, se ci si
riferisce ai fatti in quanto tali non esistono conflitti, come quello fra il
finito e l'infinito o fra la carne e lo spirito. A base di codesti conflitti
stanno distinzioni vane, tracciate fittiziamente dall'intelletto per i propri
usi. [...] Quando abbiamo fame mangiamo; quando abbiamo sonno ci stendiamo - in
tutto ciò, che c'entra il finito o l'infinito? Non siamo forse completi,
ciascuno in se stesso? La vita quale viene vissuta basta. Solo quando il potere
disturbatore dell'intelletto interviene e cerca di ucciderla noi cessiamo di
vivere e ci immaginiamo che qualcosa ci manchi. Si lasci in pace l'intelletto;
utile nella sua propria sfera, esso non deve interferire nella corrente della
vita. Se volete scrutare la vita, fatelo mentre fluisce e lasciamola fluire. In
nessun caso se ne deve arrestare il flusso o immischiarsi in esso, perché nel
punto in cui vi immergete le mani la sua trasparenza sarà alterata, esso cesserà
di riflettere il volto che aveste fin dalle origini e che continuerete a portare
sino alla fine dei tempi. [...]
Come due specchi senza macchia si riflettono a vicenda, del pari il fatto e il
nostro spirito debbono stare l'uno di fronte all'altro senza nulla che
s'intrometta. È allora che si sarà capaci di cogliere il fatto nella sua realtà
viva e vibrante.
Prima di tale momento, la libertà è una parola vuota. [...] La verità ultima
dello Zen è che a causa dell'ignoranza si è prodotta una frattura nel nostro
essere; è che fin dagli inizi non è mai esistita una lotta fra il finito e
l'infinito; è che proprio la pace che ora stiamo cercando con tanto ardore è già
esistita in ogni tempo. [...]
A Mu-chou (Bokuju), che visse verso la metà del IX secolo, una volta fu
domandato: «Ogni giorno dobbiamo vestirci e mangiare - come liberarci da tutto
ciò?». Il maestro rispose: «Noi ci vestiamo, noi mangiamo». «Non capisco» - fece
l'altro. «Se non capisci, mettiti il vestito e mangia il tuo cibo», fu la
risposta.
[...] La salvazione va cercata nello stesso finito, non essendovi un infinito
separato dalle cose finite; se cercate qualcosa di trascendente, vi taglierete
fuori da questo mondo di relatività, il che equivale a distruggervi. [...] Per
cui, mangiate e bevete, e trovate la vostra via verso la liberazione proprio in
questo mangiare e bere. [...] Il finito è l'infinito, e viceversa. [...]
L'errore consiste nel nostro spezzare in due cose distinte ciò che, in realtà, è
assolutamente uno. La vita quale la viviamo è una, anche se la facciamo a pezzi
applicandovi senza scrupoli il bisturi dell'intelletto. [...]
La mente umana ordinariamente è piena di sciocchezze intellettuali e di detriti
sentimentali di ogni specie. [...] È essenzialmente a causa di questi aggregati
che la nostra vita è miserabile e che noi soffriamo sentendoci schiavi. Ogni
volta che vogliamo fare un movimento essi ci vincolano, ci soffocano, oscurano
il nostro orizzonte spirituale. Desideriamo profondamente la naturalezza e la
libertà, ma sembra come se non ci fosse dato raggiungerle" (dai Saggi sul
Buddhismo Zen, vol. 1, cap. I).