"La totale penetrazione dell'essere-tempo" (Dallo Shobogenzo)
la meditazione come via
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"La totale penetrazione dell'essere-tempo" (Dallo Shobogenzo)


Un altro brano tratto dallo Shobogenzo, dal capitolo Uji:

"Solo in se stessi può essere realizzata la penetrazione totale dell'essere-tempo. La totale penetrazione dell'essere-tempo è completa attività. È come il seguente esempio: quando esco per incontrare qualcuno, lo incontro come un'altra persona, come un essere umano mio simile e infine, come qualcuno che possiede la mia stessa essenza. Questa è attività naturale. Se ognuno di questi aspetti fosse separato dall'essere-tempo, non potrebbe esistere. [...] Quando diciamo che la mente è essere-tempo è la giusta occasione perché la Via del Buddha appaia [...]. Il tempo che viene è non-attaccamento; il tempo che non viene, non è né attaccamento né non-attaccamento. Riconoscendo ciò possiamo trovare l'essere-tempo".

È l'attività a eliminare il senso di separazione, la separazione stessa, il suo allontanarmi dalla realtà, da me stesso, la causa della mancata realizzazione del vuoto, del vuoto in me, attorno a me, tra me e l'altro da me, il vuoto stesso dell'altro da me, il vuoto in cui tutto naviga, in cui tutto è e non è. Ed è nella penetrazione completa, nell'immersione infinita e senza residui nell'essere-tempo che l'attività giunge alla sua totale realizzazione, alla sua vetta. Il risiedere senza residui nell'essere tempo è pura attività e la pura attività è risiedere senza residui nell'essere tempo: non si può dare l'una esperienza senza l'altra. Ed è esperienza vissuta, non del molteplice mondo, non della frammentaria realtà esteriore: è invece realtà interiore: "Solo in se stessi può essere realizzata". Più entri nell'attività, più sei in te stesso; più penetri nell'essere-tempo, più ti senti, ti cogli. Sei perso nell'attività, sei liquefatto nel dinamismo dell'essere-tempo, eppure lì sei ritrovato, lì avviene l'appello alla tua autenticità. È un'esperienza: sei proprio tu, non essendoci più alcun 'io'.
Non è che sia qualcosa di automatico, di improvviso. L'esempio che viene fatto nel brano è significativo. Prima esci per incontrare qualcuno: sei ancora nella dimensione della separazione, del soggetto e dell'oggetto, dell'io. Poi incontri effettivamente l'altra persona: l'incontro è sempre un appello, ti chiama a te, ti interroga, ti mette in questione. Successivamente questa altra persona è riconosciuta come simile a te: ti stai immergendo progressivamente nell'essere-tempo, stai penetrando nell'attività in cui sei. Ultima tappa: l'altro viene riconosciuto della stessa tua propria essenza. Non è un lavoro, non è una tecnica: "è attività naturale". È l'esperienza pura, nel suo darsi naturale, libero, semplice, quando non interviene nulla di esterno, di troppo, di intralcio, di - appunto - snaturante. È quando non c'è più un io e un tu che lottano, che si confrontano, che mantengono e ribadiscono la distanza, la differenza, l'alterità. Attenzione: io e tu significa anche l'io che si interroga su se stesso, che entra nella ricerca infinita (nel senso negativo: senza esito) della sua verità, la vana ricerca spirituale.
Tutto si dà nell'essere-tempo, anche la lotta, la dinamica soggetto-oggetto, l'azione non-saggia e quella saggia, il pensiero illuminato e quello volgare: il realizzato questa verità la riconosce. Se la riconosci, scompare questo dualismo. C'è ancora incontro, c'è ancora attività, ci sei ancora tu e c'è il tuo simile. Ma la tensione illusoria cade, il senso triste e inquietante di separazione scompare. Quando si dice: tutto scorre. Ecco. Lo vedi anche nella tua quotidianità: c'è qualcosa che fai senza senso dell'io, senza memoria di un sé separato, la fai completamente immerso nell'azione e tutto viene con quella semplicità, con quella rapidità, con quella scioltezza, con quel portato di tranquillità, di felicità... La tua mente è lì, nell'essere-tempo, ecco la via del Buddha che si dispiega.
Il tempo non è più vissuto come un ostacolo, come un limite. Ci sei immerso, ne fai parte. Non è una dimensione esterna, estranea ed estraniante. La pratica del non-attaccamento è propria del praticante, ma fino a un certo livello: rimanere sempre nel non-attaccamento significa costringersi alla lotta senza fine, significa vedere nel tempo qualcosa che viene a noi dall'esterno, opprimendoci, riducendoci. L'essere-tempo non viene, l'essere-tempo è e noi in esso. Riconoscerci nell'essere-tempo, riconoscerci essere-tempo va al di là della disciplina a denti stretti del non-attaccamento, va al di là anche dell'attaccamento, proprio dello stato dualista, ignorante per antonomasia. Se non sei attaccato e neppure non-attaccato, sei nell'essere-tempo, nella sua buddhità, nel suo nirvana, nella sua potente e lucente pienezza e nullità.