Abbiamo visto che il retto sforzo consiste in quattro
tipi di 'impegni': impedire il sorgere di condizioni negative quando ancora non
sono sorte, l'impegnarsi a distruggere quelle già sorte, il desiderare che
sorgano condizioni positive e l'applicarsi affinchè le condizioni positive già
sorte non vengano tracurate, bensì coltivate e maturate.
Oggi parleremo del primo di questi impegni.
Quando si parla di condizioni negative a cosa ci si riferisce? L'abbiamo visto
nella scorsa lezione: sono i cinque impedimenti: desiderio sensuale,
malevolenza, pigrizia, agitazione/preoccupazione, dubbio.
Riprendiamo la nostra lettura del testo di Bhikkhu Bodhi:
"Lo sforzo per tenere in scacco gli impedimenti è
necessario sia all'inizio sia nell'intero sviluppo della pratica meditativa. Gli
impedimenti distraggono infatti l'attenzione e oscurano la consapevolezza, a
scapito della calma e della chiarezza. Gli impedimenti [...] sono prodotti
dell'attivazione di tendenze normalmente sopite nelle profondità del continuum
mentale, in attesa dell'occasione per salire in superficie. Di solito,
vengono innescati da un qualunque stimolo sensoriale. [...] Ove la mente
apprenda l'informazione senza un'adeguata attenzione, con discernimento non
abile, lo stimolo sensoriale tenderà a instaurare una risposta non salutare.
[...] L'inquinante evocato corrisponde all'oggetto: oggetti gradevoli suscitano
desiderio, oggetti sgradevoli avversione, oggetti indeterminati illusione.
[...] Per impedire l'insorgere degli inquinanti latenti occorre evidentemente
esercitare una forma di controllo sui sensi. [...]
«Percependo con l'occhio una forma, con l'orecchio un suono, col naso un odore,
con la lingua un gusto, col corpo un contatto, con la mente un oggetto mentale,
egli non ne ricerca né l'insieme né i particolari. Ed è sollecito a evitare
ciò per cui avidità, turbamento e altri stati non salutari sorgerebbero se
egli permanesse con sensi incontrollati; perciò veglia sui propri sensi e li
controlla» (Buddha).
Controllo dei sensi non significa negazione dei sensi, non significa ritrarsi
totalmente dal mondo sensoriale. Cosa impossibile ma, se anche fosse possibile,
non risolverebbe il vero problema, in quanto le contaminazioni sorgono nella
mente, non nell'organo sensoriale e tanto meno appartengono all'oggetto. La
chiave della pratica è indicata nelle parole «non ne ricerca né l'insieme né
i particolari». L'insieme è l'apparenza generale dell'oggetto su cui viene
costruito il pensiero inquinato; i particolari sono le caratteristiche
secondarie. In mancanza di controllo sensoriale, la mente vaga a casaccio nel
campo del sensibile. Dapprima si afferra all'insieme, mettendo così in moto gli
inquinanti, quindi si lascia affascinare dai particolari, consentendo agli
inquinanti di moltiplicarsi e prosperare.
Il controllo dei sensi richiede di applicare ai processi sensoriali la
consapevolezza e la chiara comprensione. La coscienza sensoriale procede per
momenti successivi, in una sequenza di atti cognitivi aventi ciascuno un proprio
speciale compito. I momenti iniziali sono funzioni automatiche: la mente
contatta l'oggetto, lo apprende, lo accoglie, lo esamina e lo identifica.
Immediatamente dopo l'identificazione si apre lo spazio per la valutazione, che
trapassa nella scelta della reazione. In assenza di consapevolezza, gli
inquinanti latenti che sono in attesa di un'opportunità di salire alla
superficie, innescheranno una valutazione erronea. [...] Invece, sotto il fuoco
della consapevolezza, il processo valutativo viene troncato sul nascere prima
che possa stimolare gli inquinanti latenti. La consapevolezza li «tiene in
scacco» mantenendo la mente a livello della nuda percezione sensoriale. Essa
fissa l'attenzione sul semplice dato, impedendo alla mente di caricarlo di
concetti radicati nel desiderio, nell'avversione e nell'illusione. Con la chiara
consapevolezza come guida, la mente può continuare a conoscere l'oggetto nella
sua realtà senza essere fuorviata".