|
|
Testi letti e citati durante seminario intensivo di domenica 7 luglio
"Non è tanto il pensiero, ma sono i cinque sensi che ti danno
l'accesso più veloce a quest'apertura verso la tua vera natura. Ad esempio, se
ascolti questo istante per intero, in ogni suo aspetto, e non solo i suoni che
giungono alle orecchie, se senti tutto l'attimo presente, con tutto te
stesso, ti apri ben oltre i confini del tuo piccolo io. Appare una sensazione
particolare nel tuo corpo, e la senti - si estende, si allarga. Senti la quiete
assoluta. Senti gli uccellini. Senti com'è sentire un suono. Poi: "Quando sei aperto, fai la tua esperienza senza filtri [...].
Non cerchi di proteggerti [...]. Riguardo sempre al tema del ritrovar se stessi, ho ricordato, durante la nostra giornata, un brano di Eckhart Tolle, in cui si parla del tema dell'aver un rapporto con se stessi come indice - ancora - di una impostazione paradossalmente dualistica, di frattura, di divisione di sé tra soggetto e oggetto. Ve lo ripropongo qui sotto: "Tutto ciò che dobbiamo veramente fare è accettare pienamente
questo momento. Allora siamo a nostro agio nel qui e ora e con noi stessi. Abbiamo fatto riferimento anche alla famosa storia zen riguardante Nanyue Huairang e la tegola. All'epoca in cui viveva sul monte Heng, il suo allievo Mazi trascorreva i giorni e le notti immerso in meditazione (zazen). Il maestro Huairang passò da quelle parti, lo vide e gli chiese cosa sperasse di ottenere restando sempre seduto così. Mazi rispose che voleva diventare un buddha. Huairang prese allora un pezzo di tegola e cominciò a strofinarlo contro una pietra. Quando Mazi gli chiese cosa stesse facendo, Huairang rispose che voleva lucidare quel pezzo di tegola per farne uno specchio. Mazi esclamò: «Un pezzo di tegola come può mai diventare uno specchio?». Huairang ribatté «Come si può diventare un buddha restando sempre seduti a meditare?». In seguito l'episodio venne spesso inteso male. Si pensò che Nanyue contestasse la necessità e il valore dell'esercizio dello zazen, mentre invece egli stava solo facendo notare a Mazi un errore di comprensione riguardo ad esso: cioè bisogna abbandonare l'idea di pratica finalizzata a qualcosa di altro dallo stare nel qui e ora - fosse anche il fine nobile dell'illuminazione. Abbiamo anche ricordato, prima dell'esercizio fermi in piedi, quel famoso passo del Buddha relativo alle posizioni del corpo nelle quali è bene praticare per una incarnazione della consapevolezza nel corpo medesimo, Questo passo è presente all'interno del Maha sati patthana suttanta, discorso del Buddha fondamentale per la pratica meditativa: “Quando il monaco cammina egli sa ‘Sto camminando’, quando è immobile in piedi sa ‘Sto immobile in piedi’, quando sta seduto sa ‘Sto seduto’, quando giace sa ‘Sto giacendo’. Egli è consapevole del suo corpo, in qualsiasi posizione si trovi”. Abbiamo fatto riferimento ad altri testi, ad altri autori? Mi pare di no. In ogni caso ben altro è importante: crollare, arrendersi, abbandonarsi fiduciosamente e lì, in quell'apertura totale - in quell'istante supremo di durata infinita - sentire. La pratica è tutta qui. Un'ultima cosa. Un ringraziamento, e intimamente sentito, ad Angelica e al Fienile Fluò - luogo veramente magico e che invito tutti a visitare - che hanno gentilmente ospitato il nostro seminario. Una buona estate a tutti.
|
|
|