Testi letti e citati durante seminario intensivo di domenica 7 luglio
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Testi letti e citati durante seminario intensivo di domenica 7 luglio


A coloro i quali hanno partecipato al seminario intensivo di meditazione di domenica 7 luglio, ma anche a chi fosse comunque interessato, ripropongo qui i brani e i testi a cui abbiamo fatto riferimento e che abbiamo letto durante la giornata.
Ci siamo appoggiati ad alcuni frasi tratte da La danza del vuoto di Adyashanti, un testo da cui trarremo brani anche con il riprendere delle lezioni dopo l'estate. Abbiamo iniziato con una pagina in cui si sottolinea l'estrema importanza dei sensi e del sentire, qualcosa che è al centro dell'impostazione che vogliamo dare alla nostra pratica:

"Non è tanto il pensiero, ma sono i cinque sensi che ti danno l'accesso più veloce a quest'apertura verso la tua vera natura. Ad esempio, se ascolti questo istante per intero, in ogni suo aspetto, e non solo i suoni che giungono alle orecchie, se senti tutto l'attimo presente, con tutto te stesso, ti apri ben oltre i confini del tuo piccolo io. Appare una sensazione particolare nel tuo corpo, e la senti - si estende, si allarga. Senti la quiete assoluta. Senti gli uccellini. Senti com'è sentire un suono.
I cinque sensi ti danno accesso immediato, al di là della realtà virtuale mentale, a qualcosa che non è cercato dalla mente. È sbalorditivo ciò che accade, quando consenti ai tuoi cinque sensi di spalancarsi. Ti rendi conto che il novantanove per cento del tuo problema è dovuto al fatto di relegare, concentrare tutto in una sola direzione, mentre quando ti apri alla totalità tutto diventa chiarissimo. E se ricominci a soffrire, è perché i tuoi cinque sensi hanno rinunciato a rivolgersi alla totalità per concentrarsi su una cosa sola, che causa sofferenza.
[...] Hai focalizzato tutta la tua attenzione su un frammento dell'esperienza e hai così impedito al Non-nato di prendersi cura di sé. Non appena l'attenzione si espande, si percepisce chiaramente come il Non-nato si prende cura di sé e ogni cosa segue il suo giusto corso [...]. In seguito, riesci a spingerti oltre al tuo punto di vista limitato e a vedere che non è esatto affermare che tu percepisci tutte queste esperienze, ma che invece è la totalità che percepisce se stessa" (pp. 22-23).

Poi:

"Quando sei aperto, fai la tua esperienza senza filtri [...]. Non cerchi di proteggerti [...].
Quando doni a te stesso la meravigliosa possibilità di non affannarti a trovar te stesso in qualche concetto o emozione particolare, allora l'apertura si dilata a tal punto che la tua identità si trasforma sempre più in uno spazio aperto, cessando di essere solo un punto di riferimento mentale, sotto forma di convinzione o di sensazione fisica. Il punto principale non è sbarazzarsi dei pensieri o delle emozioni, ma non sentirsi confinati al loro interno. [...]
Niente può disturbare l'apertura. Niente può disturbare la nostra vera natura. Restiamo turbati soltanto quando ci chiudiamo, identificandoci con un dato punto di vista, un concetto riguardo a chi siamo o a chi crediamo di essere; allora ci troviamo in conflitto con quello che accade. [...]
Basta essere, rimanendo in questo luogo privo di parole" (pp. 17-18).

Riguardo sempre al tema del ritrovar se stessi, ho ricordato, durante la nostra giornata, un brano di Eckhart Tolle, in cui si parla del tema dell'aver un rapporto con se stessi come indice - ancora - di una impostazione paradossalmente dualistica, di frattura, di divisione di sé tra soggetto e oggetto. Ve lo ripropongo qui sotto:

"Tutto ciò che dobbiamo veramente fare è accettare pienamente questo momento. Allora siamo a nostro agio nel qui e ora e con noi stessi.
Ma abbiamo davvero bisogno di avere un rapporto con noi stessi? Perché non possiamo semplicemente essere noi stessi? Quando abbiamo un rapporto con noi stessi, ci siamo spaccati in due: «io» e «me stesso», soggetto e oggetto. Questa dualità creata dalla mente è la causa fondamentale di ogni complessità superflua, di tutti i problemi e i conflitti della nostra vita. Nello stato di illuminazione noi siamo noi stessi: «io» e «me stesso» si fondono in una cosa sola. Non giudichiamo noi stessi, non ci sentiamo dispiaciuti per noi stessi, non siamo orgogliosi di noi stessi, non amiamo noi stessi, non odiamo noi stessi, eccetera. [...] Non vi è più un «sé» che dobbiamo proteggere, difendere o alimentare. [...] Vi è un unico rapporto che non abbiamo più: il rapporto con noi stessi. Una volta rinunciato a questo, tutti gli altri rapporti saranno rapporti d'amore" (Il potere di Adesso, p. 163).

Abbiamo fatto riferimento anche alla famosa storia zen riguardante Nanyue Huairang e la tegola. All'epoca in cui viveva sul monte Heng, il suo allievo Mazi trascorreva i giorni e le notti immerso in meditazione (zazen). Il maestro Huairang passò da quelle parti, lo vide e gli chiese cosa sperasse di ottenere restando sempre seduto così. Mazi rispose che voleva diventare un buddha. Huairang prese allora un pezzo di tegola e cominciò a strofinarlo contro una pietra. Quando Mazi gli chiese cosa stesse facendo, Huairang rispose che voleva lucidare quel pezzo di tegola per farne uno specchio. Mazi esclamò: «Un pezzo di tegola come può mai diventare uno specchio?». Huairang ribatté «Come si può diventare un buddha restando sempre seduti a meditare?». In seguito l'episodio venne spesso inteso male. Si pensò che Nanyue contestasse la necessità e il valore dell'esercizio dello zazen, mentre invece egli stava solo facendo notare a Mazi un errore di comprensione riguardo ad esso: cioè bisogna abbandonare l'idea di pratica finalizzata a qualcosa di altro dallo stare nel qui e ora - fosse anche il fine nobile dell'illuminazione.

Abbiamo anche ricordato, prima dell'esercizio fermi in piedi, quel famoso passo del Buddha relativo alle posizioni del corpo nelle quali è bene praticare per una incarnazione della consapevolezza nel corpo medesimo, Questo passo è presente all'interno del Maha sati patthana suttanta, discorso del Buddha fondamentale per la pratica meditativa: “Quando il monaco cammina egli sa ‘Sto camminando’, quando è immobile in piedi sa ‘Sto immobile in piedi’, quando sta seduto sa ‘Sto seduto’, quando giace sa ‘Sto giacendo’. Egli è consapevole del suo corpo, in qualsiasi posizione si trovi”.

Abbiamo fatto riferimento ad altri testi, ad altri autori? Mi pare di no. In ogni caso ben altro è importante: crollare, arrendersi, abbandonarsi fiduciosamente e lì, in quell'apertura totale - in quell'istante supremo di durata infinita - sentire. La pratica è tutta qui.

Un'ultima cosa. Un ringraziamento, e intimamente sentito, ad Angelica e al Fienile Fluò - luogo veramente magico e che invito tutti a visitare - che hanno gentilmente ospitato il nostro seminario.

Una buona estate a tutti.