Ora la mia
tragedia è questa. Dico mia, ma chi sa di quanti!
Chi vive, quando vive, non si vede: vive... Se uno può vedere la propria vita, è
segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la
trascina, perché ogni forma è una morte.
Pochissimi lo sanno; i più, quasi tutti, lottano, s’affannano per farsi, come
dicono, uno stato, per raggiungere una forma; raggiuntala, credono d’aver
conquistato la loro vita, e cominciano invece a morire. Non lo sanno, perché non
si vedono; perché non riescono a staccarsi più da quella forma moribonda che
hanno raggiunta; non si conoscono per morti e credono d’esser vivi. Solo si
conosce, chi riesca a veder la forma che si è data o che gli altri gli hanno
data, la fortuna, i casi, le condizioni in cui ciascuno è nato. Ma se possiamo
vederla, questa forma, è segno che la nostra vita non è più in essa, perché se
fosse, noi non la vedremmo; la vivremmo, questa forma, senza vederla. E morremmo
ogni giorno di più in essa, che è già per sì una morte, senza conoscerla.
Possiamo dunque vedere e conoscere soltanto ciò che di noi è morto. Conoscersi è
morire.