Ultimi brani tratti dal romanzo di Georges Perec, Un uomo che dorme:
"Lungo il corso delle ore, dei giorni, delle settimane e
delle stagioni ti disamori di tutto, ti distacchi da tutto. Con quasi una sorta
di ebbrezza, scopri che sei libero, che non c’è niente che ti pesi, che ti
piaccia o che ti spiaccia. In questa vita senza usura e senza altri fremiti
degli istanti sospesi che ti procurano le carte, certi rumori, e certi
spettacoli che ti dai, trovi una felicità quasi perfetta, ammaliante, talvolta
gravida di nuove emozioni. Conosci un riposo totale, sei, in ogni momento, come
risparmiato, protetto. Vivi una parentesi felice, un vuoto pieno di promesse e
da cui non ti aspetti niente. Sei invisibile, limpido, trasparente. Non esisti
più: il susseguirsi delle ore, il susseguirsi dei giorni, il passare delle
stagioni, lo scorrere del tempo, sopravvivi, senza allegria e senza tristezza,
senza futuro e senza passato, così, semplicemente, in modo evidente [...].
[...]
L’indifferenza non ha inizio né fine: è uno stato immutabile, un peso,
un’inerzia che nulla potrebbe far vacillare. Forse ancora pervengono ai tuoi
centri nervosi messaggi del mondo esterno, però nessun genere di risposta
globale, tale da coinvolgere la totalità dell’organismo, sembra potersi
elaborare. Permangono solo i riflessi elementari: quando il semaforo è rosso non
attraversi, ti ripari dal vento per accenderti una sigaretta, nelle mattine
d’inverno ti copri di più, ti cambi la polo, le calze, le mutande e il maglione
una volta alla settimana, le lenzuola un po’ meno di due volte al mese.
L’indifferenza dissolve il
linguaggio, imbroglia i segni. Sei paziente e non aspetti, sei libero e non
scegli, sei disponibile e niente ti mobilita. Non chiedi niente, non esigi
niente, non imponi niente.
[...]
Ora vivi l’inesauribile. Ogni giornata è fatta di silenzi e di rumori, di luci e
di bui, di consistenze, attese, fremiti. Non hai più da perderti, ancora una
volta, nel tempo a venire, ogni volta di più, errare infinitamente, trovare il
sonno e una certa pace del corpo: abbandono, sfinimento, deriva, assopimento.
Sprofondi, ti lasci scivolare, molli: cercare il vuoto, fuggirlo, camminare,
fermarti, sederti, metterti a tavola, appoggiarti sui gomiti, sdraiarti.
Gesti da automa: alzarti, lavarti, rasarti, vestirti. Tappo di sughero
sull’acqua: andare alla deriva, seguire il flusso, vagare [...].
Nessuna gerarchia, nessuna preferenza. La tua indifferenza è piatta: uomo grigio
per cui il grigio non evoca nessun grigiore. Non tanto insensibile, quanto
piuttosto neutro. L’acqua ti attira, così come la pietra, l’oscurità al pari
della luce, il caldo al pari del freddo. C’è solo la tua camminata, il tuo
sguardo che si posa e scivola via, ignorando il bello e il brutto, il famigliare
e il sorprendente, non recependo che le combinazioni di forme e luci, che
continuamente si fanno e disfano dovunque, nell’occhio, sul soffitto, ai tuoi
piedi, nel cielo, nello specchio incrinato, nell’acqua, nella pietra, nella
folla. Piazze, strade, giardinetti e viali, alberi e inferriate, uomini e donne,
cani e bambini, attese, ressa, veicoli e vetrine, edifici, facciate, colonne,
capitelli, marciapiedi, canaletti di scolo, lastricati di arenaria resa lucida
dalla pioggia sottile, grigi, o quasi rossi, o quasi bianchi, o quasi neri, o
quasi blu, silenzi, clamori, frastuoni, folla nelle stazioni, nei negozi, nei
viali, strade brulicanti di gente, lungofiume brulicanti di gente, vie deserte
delle domeniche d’agosto, mattine, sere, notti, albe e crepuscoli.
Adesso sei l’anonimo padrone del mondo, quello su cui la storia non ha più
presa, quello che non sente più la pioggia cadere, che non vede più venire la
notte.
Conosci soltanto la tua propria evidenza: quella della tua vita che continua,
del tuo respiro, del tuo passo, del tuo invecchiamento. Vedi la gente andare e
venire, la folla e le cose farsi e disfarsi. Vedi nella minuscola vetrina d’un
merciaio una guida per tende su cui subito si fissa il tuo sguardo: passi oltre:
sei inaccessibile".