"Coltiva una mente che non sa" (Frank Ostaseski)
la meditazione come via
tra vipassana e zazen




 

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"Coltiva una mente che non sa" (Frank Ostaseski)


Continuiamo a leggere da Saper accompagnare - Aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte di Frank Ostaseski. Siamo arrivati al terzo dei "Cinque precetti per l'assistenza":

"3. Non aspettare

La pazienza è cosa diversa dall'attesa. Nell'attesa, siamo pieni di aspettative. Nell'attesa, perdiamo di vista quello che il presente ha da offrirci. [...] Aspettando il momento della morte, perdiamo tanti momenti di vita.

Non aspettate. Se amate qualcuno, diteglielo. [...]

Non aspettare.

Lasciate che la precarietà della vita insegni cosa veramente conta, in questo momento, poi fatelo. Fatelo senza riserve. Non aspettate.

4. Impara a riposare nel pieno dell'attività

Spesso pensiamo al riposo come a qualcosa che ci concediamo al termine di tutto il resto [...]. Ma quando si accompagna qualcuno che muore, a volte si deve imparare a riposare in mezzo al caos. È un riposo che si scopre quando si porta tutta l'attenzione, senza distrazione, al momento presente, all'attività che si svolge. [...]

Imparate a riposare nel pieno dell'attività. Il luogo in cui riposare è sempre a disposizione. [...] Dobbiamo solo imparare a prestargli attenzione. Se ci dedichiamo sinceramente a cercarlo, sapremo riconoscere questa dimensione spaziosa in tutti i momenti della vita. È qualcosa dentro di noi che non si ammala, che non nasce e non muore.

Impara a riposare nel pieno dell'attività.

5. Coltiva una mente che non sa

[...] Dal mio punto di vista, "una mente che non sa" è una mente aperta e ricettiva. Una mente che non è limitata. Suzuki Roshi, il fondatore del San Francisco Zen Center, amava ripetere: «Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, in quella dell'esperto, poche».

Quando entriamo nella stanza di una persona che sta morendo con il nostro bagaglio di nozioni, la prospettiva si restringe, si riduce a misura delle nostre idee preconcette. Ciò può creare una distanza fra noi e la persona che serviamo. Immaginate di poter entrare in quella stanza con una mente che non sa, guardando tutto con occhi nuovi, liberi da obiettivi prestabiliti, aspettative o limitazioni [...].

C'è un altro insegnamento zen che si collega a questo, e cioè: «Non sapere è massima intimità». Quando non sappiamo, dobbiamo restare quanto più possibile aderenti all'esperienza. Dobbiamo lasciare che le nostre azioni scaturiscano dalla situazione in cui ci troviamo. [...] Lo stesso vale nel rapporto con la persona che sta morendo. Cerchiamo di restare aperti, senza preconcetti, procedendo a tentoni, passo dopo passo, attimo per attimo, ricettivi, flessibili, osservando attentamente i bisogni mutevoli dell'altro e al tempo stesso prestando ascolto alla nostra voce interiore. [...]
In certe circostanze, la disponibilità a non sapere è la risorsa più importante. La capacità di essere realmente di aiuto agli altri è proporzionale alla capacità di vivere il presente come qualcosa di sempre nuovo. Coltiva una mente che non sa" (pp. 23-28).