"Un'opportunità per scoprire ciò che è nascosto" (Frank Ostaseski)
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"Un'opportunità per scoprire ciò che è nascosto" (Frank Ostaseski)


Continuiamo a leggere da Saper accompagnare - Aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte di Frank Ostaseski:

"Morire è essenzialmente un atto sacro; per sua natura è un momento - che è insieme luogo e processo - di abbandono e di trasformazione. Il sacro non è separato o diverso da tutto il resto, ma è presente non visto in tutte le cose. Morire è un'opportunità per scoprire ciò che è nascosto. Vedere il sacro è rimuovere gradualmente tutte le ostruzioni, le percezioni limitanti che impediscono di riconoscere la verità di ciò che era già lì da sempre.
Nel profondo, qualcosa in noi ha già avuto sentore della verità. Se così non fosse, non ne sentiremmo la nostalgia. Questa parte di noi sa anche che non ci sentiremo soddisfatti finché la totalità del nostro essere non la riconoscerà, immergendosi nell'unità.
[...]


Cinque precetti per l'assistenza

1. Accogli tutto, non respingere nulla

[...] Si incoraggiano i ricoverati ad assumere un ruolo attivo e a fare presente quali sono le loro priorità in questo momento così delicato della loro vita. Si cerca di non imporre giudizi e obiettivi, rispettando il bisogno di ciascuno di scoprire come vuole vivere fino al momento in cui morirà. [...] C'è un generale incoraggiamento al lavoro interiore, ma se la persona preferisce guardare i giochi a premi alla TV, nessuno ci trova da ridire. [...]

Accogliere ogni cosa non significa che tutto quello che incontriamo ci debba piacere. Approvare o disapprovare non rientra nei nostri compiti. Il nostro compito è dare fiducia, ascolto e un'attenzione puntuale ai bisogni mutevoli dell'altro. Per fare questo ci vuole coraggio. A un livello profondo, richiede di mettere in campo una sorta di ricettività senza paura. Il primo passo è impegnarci a osservare come ci aggrappiamo al benessere e prendiamo le distanze dalla sofferenza. Il poeta Rumi lo esprime così: «Ogni mattino un nuovo arrivo: gioia, scoraggiamento, malignità. Un attimo di consapevolezza giunge, ospite inatteso. Dài il benvenuto a tutto e a tutto estendi la tua premura. La condizione umana è una locanda. Tratta ogni ospite con il dovuto rispetto».

Alcuni anni fa fu indirizzato allo Zen Hospice un uomo che aveva un cancro inguaribile ai polmoni. Egli proveniva dal reparto psichiatrico, dove era stato ricoverato perché non riusciva più a dare valore alla propria vita ora che aveva il cancro e aveva tentato di uccidersi. Ricordo che entrai nella stanza e mi misi seduto accanto a lui, e per un po' restai lì senza fare altro. Passò del tempo, e alla fine quest'uomo mi disse: «Chi sei? Nessuno è mai rimasto seduto con me in questa stanza così a lungo». Risposi: «Sai, restare seduto in silenzio è una cosa che faccio molto spesso». E aggiunsi: «Cosa vorresti?». E lui: «Spaghetti». Gli dissi: «Noi facciamo ottimi spaghetti. Perché non vieni a stare da noi?». Lui disse: «Sì», e con ciò si concluse il colloquio d'ammissione.

Il giorno seguente, quando arrivò all'Hospice, trovò ad attenderlo un grande piatto di spaghetti. Per lui gli spaghetti significavano casa, nutrimento, familiarità. Restò con noi per alcuni mesi" (p. 8, pp. 19-20).