Abbiamo letto una spiegazione del maestro zen Yuan Wu
intorno allo stato di purezza:
"Un monaco chiese: «Secondo Vimalakirti,
colui che desidera la Terra Pura dovrebbe avere la mente purificata; ma che
cos'è la mente purificata?». Rispose il maestro zen: «Quando la mente è
assolutamente pura, si ha la mente purificata, e una mente può dirsi
assolutamente pura quando è al di sopra della purezza e dell'impurezza. Vuoi
sapere come questo si può realizzare? Abbi la tua mente completamente vuota in
qualunque condizione, e allora avrai la purezza. Ma, quando avrai ottenuto
questo risultato, non ospitare alcun pensiero riguardo a questo, o avrai la
non-purezza. E ancora, quando avrai raggiunto lo stato di non-purezza, non
ospitare alcun pensiero riguardo a questo, e sarai libero dalla non-purezza.
Questa è la purezza assoluta»".
È molto semplice il senso di questo
brano.
In altre parole: c'è sempre una possibilità. Qui lo zen si presenta nella sua
totale disponibilità. Ogni momento va bene. Non è una mera questione di
ginnastica morale. Non è come dire: se sei puro va bene, se sei non puro non va
bene. Se fosse così, non si potrebbe parlare di un nirvana che si squaderna
potenzialmente in ogni istante.
Il punto che viene indicato è quello della reattività della mente. Ed è anche
quello della dualità, ovviamente. Andare al di là della purezza e dell'impurezza:
cosa c'è dopo? Qualcosa di assoluto, evidentemente. Qui la si chiama "purezza
assoluta", ma ha a che fare ben poco con quella purezza che si contrappone all'impurezza.
È qualcosa - appunto - al di là.
La mente si deve purificare anche dell'idea stessa di purezza (e di impurezza).
Se non fa questo lavoro, è automatico che davanti alla purezza stessa, essa
reagisca, si crogioli, concepisca pensieri di godimento, felicità, estasi.
Questo va anche bene, fa parte di un certo percorso. Ma va superato, altrimenti
ci si invischia in un processo senza termine. La meditazione non è una seduta di
massaggi piacevoli, per cui alla fine ci sentiamo tanto bene! Non è una carezza
sentimentalistica alla nostra anima piccola, meschina e offesa dalla vita. È
invece proprio la fuoriuscita da quel meccanismo psichico per il quale reagisco
positivamente a ciò che mi appare positivo e negativamente a ciò che mi risulta
negativo. Finché siamo lì, siamo ingabbiati: non siamo certo liberi, bensì
ostaggi di noi stessi.
Se medito e sto bene e nasce in me questo pensiero reattivo (che bello, come mi
piace, che sensazione!), aggiungo troppo. Se medito e non mi viene, non ce la
faccio e mi oppongo a questa situazione, dicendo a me stesso che ho sbagliato
tutto, che oggi non funziona, che non ce la farò mai, oppure producendo
sentimenti di noia, di fastidio, di insofferenza, allora anche qui aggiungo
troppo. Se invece medito e basta, che la mia sia una situazione di purezza o di
impurezza, poco importa: è così che devo fare. Allora sì che sono "al di sopra
della purezza e dell'impurezza": perché né purezza né impurezza mi costringono a
reazioni inconsapevoli, al mio solito e fastidioso chiacchiericcio interiore, al
mio ostinato riempirmi di qualcosa.
Se non ospiti nessun pensiero, allora sì che sei l'ospitalità fatta a persona.
Se sei puro e hai in te il pensiero della purezza, come farai mai a vedere
la realtà? Ti correrà davanti solo come un film, ne sarai estraniato. Sarai un
allucinato, non un illuminato.