"Le cose più profonde odiano l'immagine" (Friedrich Nietzsche)
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"Le cose più profonde odiano l'immagine" (Friedrich Nietzsche)


Il primo ingresso nella penetrazione delle cose è guardarle senza volerle capire. Il mio pretendere di intenderle in profondità non le fa entrare dentro pienamente. Volerle capire è lasciare che esse si fermino allo strato più superficiale della mia reale comprensione: il mentale, il linguaggio, il sapere. C'è invece qualcosa di più abissale che mi richiama a questa verità: io non so dove abbia sede la vera questione. Rilke scrive:

“Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo e non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva. Ho un luogo interno che non conoscevo. Ora tutto va a finire là. Non so che cosa vi accada”.


La profondità delle cose parla una lingua che è quella del nascondimento rispetto al mio intendere brutale, quell'intendere che pretende che le cose si concludano nei limiti della loro figura e del mio nominarle.

"Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi; le cose più profonde odiano l'immagine e la similitudine" (Nietzsche).

Allora il mio guardarle è solo un sogno di dominio su di esse.
L'altra possibilità, se è quella possibilità che principia dal non volerle capire, è insediarsi in uno sguardo che sorghi da un vuoto luogo senza nome, senza figura. Lì affondati, da questo silenzio, da questa raffinatezza fatta di niente, il nostro vedere riceve le cose. Ed esse si manifestano allora nel loro mistero supremo. Così lo descrive Jean Klein:

“Siete in un immenso spazio Vergine, senza oggetto. Lei non dirige alcunché, e sente di essere parte di questa immensità senza rappresentazione di alcun tipo.
[…] Ci si avvicina poi alle cose con grande pudore: i fiori, gli uccelli, le montagne, il verde, sono in questa distesa, nella luce”.