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“Ascoltare il corpo prima di dirgli cosa fare” (Ohad Naharin)
Bisogna praticare per l'ascolto e nel modo in cui esso si manifesta in me, ora, in queste condizioni, non per sentire qualcosa di specifico, in qualche modalità speciale. Non è imporre al corpo un oggetto di ascolto in particolare, non è un fare sul corpo, ma un lasciare che si dia la sua realtà: “Ascoltare il corpo prima di dirgli cosa fare” (Ohad Naharin). Spostare la questione sulle precondizioni dalle quali l'ascolto si produce o sulla “riuscita” dell'ascolto medesimo priva della comprensione della perfezione dell'istante presente per come si dà ora in questo momento proprio nel luogo del mio sentire: “Nessuna pace sarà più pace di quella che ora è nell'attimo presente” (Giovanni Testori). Passare dall'idea di una pace delle precondizioni da cui sviluppare l'ascolto a una pace nella quale si manifesta l'ascolto medesimo. Allora se in un primo periodo può risultare conveniente l'attuarsi di certe precondizioni solo per familiarizzarsi con la realtà di una pratica di sentire, successivamente è appropriato indagare anche la realtà dell'ascolto in quelle precondizioni che solitamente – in un atteggiamento pauroso, borghese e dualistico – vengono fuggite. Per la bellezza dell'ascolto della mia totalità, in ogni sua manifestazione. Come scrive Tiziano Scarpa in un suo verso: “Il poeta […] si espone con voluttà alle intemperie”. Allora è la pratica dell'ascolto anche nel momento di tristezza, di disperazione, di paura, di nausea, di febbre, di mal di testa, … Mai per rifiutarle, mai per eliminarle: per la bellezza di ciò che è. Solo da lì l'insegnamento: “L'unico maestro è l'ascolto” (Eric Baret). |
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