Un brano tratto dal Muchu Mondo di Muso Kokushi, uno
dei più grandi maestri zen del 1300:
"Nei tempi antichi Nanyue andò dal sesto patriarca dello
Zen. Vedendolo avvicinarsi, il patriarca domandò: 'Che cosa è arrivato da questa
parte?'.
Incapace di rispondere, Nanyue si ritirò. Dopo otto anni di riflessione
interiore, alla fine ebbe una grande realizzazione.
Ritornando dal patriarca, Nanyue rispose: 'Non sarebbe preciso chiamarlo in
qualche modo'.
Soltanto allora Nanyue ricevette l'approvazione del patriarca Zen.
Può sembrare che l'incapacità di Nanyue di capire e rispondere immediatamente ne
dimostri l'ottusità. In realtà, il fatto che esaminò fino in fondo la domanda
'che cosa è arrivato?' e alla fine ritornò con la risposta è prova della sua
acutezza. Senza questa indagine penetrante non puoi mai diventare illuminato.
Terminata la lezione, quando il pubblico se ne sta andando, un certo maestro zen
dei tempi antichi era solito richiamarli, e quando giravano la testa diceva
loro: 'Che cos'è?'. Non stava insegnando loro a meditare, nè domandava le loro
opinioni. Se si riesce a capire direttamente il suo intento, qualunque mancanza
di chiarezza svanisce subito.
Una volta c'era un professore buddhista che aveva letto a fondo le scritture e i
trattati e ne capiva i significati e i principi. Aveva un seguito di allievi e
insegnava da lungo tempo quando visitò il grande maestro zen Mazu e gli pose
numerose domande. Il professore non approvava le risposte del maestro zen, così
fece per andarsene. Proprio in quel momento il maestro zen lo richiamò; quando
il professore, avviato verso l'uscita, girò la testa, il maestro zen disse: 'Che
cos'è?'. A quel punto il professore ebbe improvvisamente esperienza di un grande
risveglio.
Questo professore studiava da anni i testi buddhisti e ne capiva i principi
concettualmente, ma non aveva avuto una vera esperienza di illuminazione. Poi
con una parola del maestro zen ('Che cos'è?') ebbe un grande risveglio. Che cosa
significa? Ovviamente, ciò che realizzò non era puramente una dottrina o un
principio.
Se gli studiosi e gli intellettuali prendessero il tempo che passano cercando di
stimolare la comprensione erudita e lo applicassero all'indagine diretta nel
luogo in cui i pensieri nascono e svaniscono, e se proseguissero questa indagine
in tutte le loro attività, sarebbero in grado di raggiungere l'accesso
all'illuminazione proprio come Nanyue e il professore".
È la cosa essenziale: 'Che cos'è?'. La
questione, nello zen, sta tutta qui. Un risiedere - ovviamente - che non è un
semplice 'stare qui, invece che là'. Permarremmo altrimenti ancora nel dualismo.
Anche in questo caso abbiamo a che fare con una domanda che non è una domanda.
Una domanda, certo: il punto interrogativo al suo termine mantiene comunque un
suo senso. Nanyue infatti prima si sente inadatto a una risposta; poi risponde e
riceve l'approvazione del patriaca. Allora qui la domanda ha il suo significato
di domanda.
Ma se fosse tutto qui, saremmo solo all'interno delle quotidiane dinamiche
mentali. Per questo si dice del maestro zen dei tempi antichi, che egli,
domandando 'Che cos'è?', non chiedeva un'opinione. La risposta a una domanda è
sempre un'opinione, una tua idea, un tuo giudizio, il risultato di un tuo
'pensare intorno a'. Qui è qualcos'altro: 'Che cos'è?' non ti chiede nulla in
merito a nulla - è in questo una non-domanda. Eppure ti chiede qualcosa! Per
questo la logica non basta.
Nello zen la risposta a una domanda va spesso in direzione dell'illegittimazione
della domanda stessa. La risposta non va nella direzione della domanda: appunto,
non è una risposta alla domanda. Non si risponde a nessuna domanda, ma
all'intenzione che è contenuta nella domanda stessa. Altrimenti sarebbe una
dialettica, un confronto linguistico-mentale, sarebbe una diatriba retorica.
'Non sarebbe preciso chiamarlo in qualche modo': qui Nanyue scardina la domanda
stessa, la buca, la schiaccia. La domanda era una non-domanda e anche la
risposta è una non-risposta. Ha detto forse qualcosa Nanyue? No; se avesse
accennato una risposta, avrebbe fallito; eppure ha risposto! Eppure la
differenza c'è: una cosa è Nanyue che non riesce a rispondere e se ne torna via;
altra cosa è Nanyue che dà quella non-risposta dopo otto anni di riflessione.
Precedentemente pensava di dover rispondere a qualcosa che viveva come una
domanda: era innanzitutto qui la sua incapacità, ancor prima di non sapere dire
nulla; dopo capì che la questione non era relativa a delle parole. Non si
trattava di reagire a certe parole con altre parole. La questione era (è) invece
questa: la risposta è ed è nella la pratica. Nanyue risponde solo quando
realizza ciò che è contenuto nella risposta stessa. In questo la sua risposta
torna a farsi domanda per chi non ha la sua realizzazione.
'Che cos'è?' non dice nulla, non insegna nulla, non domanda nulla. Eppure
conduce all'eliminazione di ogni 'mancanza di chiarezza'. È come nell'esercizio
dell'osservazione dei pensieri attraverso la domanda 'da dove viene?'. Non è
un'attesa di risposta. È già in essa la risposta, nel momento nel quale la si
'attiva' in noi. La domanda realizza qualcosa che è fuori da ogni comunicazione
('ciò che realizzò non era puramente una dottrina o un principio'), ma non in un
senso romantico del termine. Cioè: non è che abbiamo un linguaggio goffo e
limitato, che non ci consente di dire qualcosa relativamente al 'Che cos'è?'.
Non è un limite relativo, contingente. Essenzialmente non è neppure un limite: è
un fatto. Il 'che cos'è?', non dicendo nulla, investe tutto. Non è un qualcosa;
è invece - azzardiamo - un atteggiamento. Non è voltare la testa verso il
'cos'è?'; l'abbiamo già detto: non è uno stare qui, invece che là. Ma è lo
sguardo stesso.
È come nella pratica meditativa. Lo vivi, lo senti. Quel 'che cos'è?' trova la
sua soluzione. Una soluzione che è investita sempre e continuamente nella stessa
domanda. Una domanda che è risposta che è domanda che è risposta... È qualcosa,
ma non è niente; è diverso, ma non è nulla di speciale. È uno stato di presenza,
non è la risposta a 'quella' domanda. Nella meditazione si permane in quel
'luogo in cui i pensieri nascono e svaniscono': si è in quel 'che' della domanda
'che cos'è?'. Eppure non si è da nessuna parte. Realizzi
l'indeterminatezza di quel 'che'. Realizzi la sua vuotezza: è l'accesso
all'illuminazione.