Dopo l’ultimo filo lasco ad un paletto,
casa per me è entrar nella foresta.
Quest’antico torpido campo di battaglia: sul terreno
Bucce di corazze, collari crepati, membra.
Nuove piante spuntano dalle vecchie:
limone e ocra dal grigio, dappertutto.
Per miglia, pista ombrosa e pendio di legni duri,
profondità che senza regola inizia a breve, tutt’intorno.
Filtra il cielo, e sempre un che di fumo
Nella luce; della foresta non arrivi mai al cuore.
È come un gran porto di barche da diporto,
d’armamenti infiniti trasmutati in foglie,
di pali avvolti in vele spruzzate,
o chissà quale esercito per secoli rimasto di riserva.
Eucalipti di padule su letto di torrente,
alto ciascuno a causa di ciascuno.
Quel cepponero in fiore è in un bagno d’api
Ma dorme a metà giorno il sangue caldo.
Nella foresta è mezzogiorno l’ora delle streghe.
Il fogliame crea una gora a strati: acqua terrena
Aridamente trattenuta da foglie su foglie biliosamente aggrinzite,
irte, arrotolate come cera.
Lassù ci fan vita sociale i pappagalli.
Soglie di pietra, frantumate da tronchi. Luci non umane.
Enormi ordigni abbandonati. I misteri della foresta.
Ma delizia per me, sui torrenti contrabbandieri d’acqua,
per me salute, sotto candele e pettini di banksia.
Un vento sfrega rami sopra le piste delle tregge;
i monti sono onde nell’oceano della foresta.
Vado per la mia strada, guardando a volte indietro, a volte
attorno;
essenze mi sgombrano la mente, e il suono che dall’alto scende.
Perché ho rinnegato le passioni della vita mia? Veder La folgore che verso l’alto dalla foresta
saetta.