la meditazione come via
vipassana e zazen




 

home

presentazione

meditare

le lezioni

buddhismo

zen

gli esercizi

testi

bibliografia

insegnante

dizionario zen

links

stampa

cerca nel sito

email

newsletter


 

"Lo zen non serve a niente!" (Barry Magid)

 


"Lo zen non serve a niente!" (Barry Magid)


Continuiamo a leggere alcuni brani dal testo di Barry Magid, Guida zen per non cercare la felicità:

"Un giovane monaco ansioso chiese una volta a Kodo Sawaki Roshi, un maestro zen giapponese del ventesimo secolo, se la pratica zen poteva renderlo fiducioso e impavido come il suo insegnante. Sawaki ribatté: «Assolutamente no! Lo zen non serve a niente!». Quel 'non serve a niente' trae la sua base dal comprendere che fondamentalmente non c'è nulla da ottenere e nulla da aggiustare. [...] Solo quando comprendiamo che 'non c'è niente da guadagnare', siamo in grado di venerare ogni cosa, ogni persona, ogni momento come fine in se stesso, non come un mezzo in funzione di un qualche scopo personale. Questa 'inutilità', questo 'non servire a niente', contrappone la vera pratica alle nostre varie 'pratiche segrete' che di nascosto cercano sempre di assimilare la meditazione a questo o a quel progetto egocentrico. Con uno zen in cui 'non c'è niente da guadagnare' usciamo dal nostro consueto ambito di domande e risposte, problemi e soluzioni, lontano dal girotondo senza fine dell'automiglioramento, per sperimentare invece la completezza della nostra vita così com'è già.
[...] In questo nostro tempo consacrato al self-help e all'automiglioramento, l''inutilità' della meditazione [...] è molto difficile da cogliere. Lo zazen non è una tecnica, non è un mezzo rivolto a un fine, non è un mezzo per diventare più calmi, più fiduciosi, tanto meno 'illuminati'. Si può anzi dire che tutta la nostra pratica consiste nel mettere fine all'automiglioramento, mettere fine alla nostra consueta ricerca compulsiva della felicità, o del suo equivalente zen, la ricerca dell'illuminazione. Non che non si possa essere felici (o illuminati), è solo che ci arriviamo seguendo un percorso molto diverso da quello che avevamo immaginato e che può non assomigliare affatto a quel che ci aspettavamo quando abbiamo incominciato.
[...]
Quando cerchiamo di afferrare un'essenza, o di affermare la priorità di un aspetto dell'esperienza di sé rispetto a un altro, ci ritroviamo impigliati in un ginepraio filosofico provvisto di spine emotive molto reali. Wittgenstein afferma ripetutamente che compito della filosofia non è rispondere a domande come queste, bensì dissolverle, per mostrare che non sono altro che pseudo-problemi sollevati da particolari aspetti del linguaggio. [...] Come avviene quando si 'risolve' un koan, non è che abbiamo una risposta; piuttosto, tutto il contesto in cui abbiamo posto la domanda si è dissolto.
Allora, come possiamo imparare a non farci fuorviare dai problemi - o non saranno pseudoproblemi? - della vita? Per questo ci vuole letteralmente il lavoro di tutta un'esistenza, tutta un'esistenza di pratica. [...] Qualunque forma prenda, la pratica è un richiamo a fare attenzione a ciò che pensiamo di essere, al tipo di domande che poniamo, alla forma che ci aspettiamo assuma una risposta e a quali sono le nostre fantasie di guarigione riguardo a quanto accadrà una volta trovata la risposta" (pp. 31-37).