"Un monaco aveva a lungo studiato e meditato per raggiungere il nirvana. Ma
senza successo.
Convinto di aver fallito il suo scopo, una notte si recò al pozzo per attingere
l'acqua con un vecchio secchio di legno.
Tornando indietro, si accorse che l'immagine della luna si rifletteva nell'acqua
del secchio. Si fermò ad ammirarla come in uno specchio.
All'improvviso il manico si spezzò, il secchio cadde a terra e l'acqua si
disperse, e, con essa, scomparve l'immagine della luna.
Non più acqua, non più luna... il monaco ebbe un'intuizione della verità".
Bisogna sapere che è opportuno lasciare
andare. E che cosa lasciare. Non
basta dire: va bene, lasciamo libero sfogo ai nostri istinti, alla nostra
natura. L'acqua va versata fino a che il contenitore non ne sia completamente
riempito, fino a quando non strabordi da tutte le parti. Lo sappiamo che è un
lavoro a vuoto, che porterà inevitabilmente al fallimento: non può che essere
così. Chi cerca il nirvana, fallisce il suo scopo, sempre e comunque. Chi si
impegna, pratica, studia, lavora su se stesso, per arrivare ad essere chissà
quale uomo eccezionale, non coglie il centro. Questo è anche il significato
esoterico della grazia.
L'abbandono è tale solo se è abbandono di qualcosa. È una pratica costante
quella dell'abbandono. C'è qualcosa e abbandoni; c'è qualcos'altro e ancora
abbandoni; ... .
Per questo il monaco era pronto. Non era un uomo "normale". La sua vita non era
semplicemente quella di chi fa ciò che si sente di fare, pensa ciò che
naturalmente pensa, ecc. Egli "aveva a lungo studiato e meditato per raggiungere
il nirvana. Ma senza successo". È stato una svista grossolana da parte sua:
intendeva la pratica come qualcosa da farsi a denti stretti, per raggiungere un
certo obiettivo. Invece le mascelle vanno lasciate ben rilassate e soprattutto
non c'è alcun fantomatico obiettivo da realizzare. Tuttavia - ecco il paradosso
- il suo è stato un errore necessario. Bisogna fallire il proprio scopo: se
vogliamo permetterci un gioco di parole, la realizzazione è innanzitutto
realizzazione del fallimento del proprio scopo.
Poi la luna si riflette nel tuo secchio. La mente in stato di abbandono, la
mente che ha lasciato la presa, la mente naturale, la mente pulita non fa altro
che riflettere. Non aggiunge nulla: riflette, come uno specchio, ciò che si dà.
Ma la realizzazione è qualcosa di sbalorditivo: è kensho, cioè fulminea
realizzazione del proprio stato illuminato. È soprattutto una condizione di
perfetta non-dualità. L'acqua e la luna che vi si riflette è ancora dualità. Il
nirvana è invece realizzazione del vuoto, unità, perdita di tutto, esplosione,
silenzio di ogni immagine. Quando non c'è più acqua e nemmeno luna, cosa sei?
Sei?
Qualcosa di eccezionale, va bene; ma anche qualcosa di estremamente normale:
prima c'era il secchio d'acqua e la luna che si rifletteva in essa; cade il
secchio, l'acqua si disperde e con essa l'immagine della luna. Ora non c'è più
nulla. Cosa c'è di strano in questo?