Continuiamo anche oggi a leggere da Paura di vivere di Alexander Lowen:
"Ogni animale sa istintivamente ciò che è e come essere se
stesso. Essere è lo stato naturale dell'animale. Ogni essere umano comincia la
vita come un animale con un pieno senso dell'essere. E, come un animale, anche
un bambino è e basta. Il suo Io è essenzialmente un Io corporeo pienamente
identificato ai processi naturali del corpo. Questa identificazione è rotta
quando i genitori impongono al bambino un comportamento civile che si oppone
alla sua natura animale.
[...]
Tutte le tensioni sono letteralmente un 'aggrapparsi alla vita'. [...] Ogni
tensione è parte di un modello totale, che costituisce la struttura caratteriale
e che si propone di assicurare la sopravvivenza dell'individuo.
Uscire dal proprio carattere fa paura: sarebbe vissuto come una perdita di
identità, un non-essere momentaneo o una morte («La rinuncia ai tratti della
personalità che sono sempre stati considerati essenziali per la sopravvivenza è
un processo pauroso e doloroso» R. Bar-Levav). Ma la morte è anche la via
d'uscita - dalla trappola, dalla lotta, dal dolore di vivere. Frank [un paziente
di Lowen] vuole disperatamente abbandonarsi, rilassarsi, morire, e questo
inconsapevole desiderio di morire lo spaventa a morte.
Ho trovato questo desiderio di morire in tutti i pazienti che ho curato. [...]
La sua forza è direttamente proporzionale all'intensità della paura della vita.
[...] Ogni tensione cronica nel corpo è una paura della vita, una paura di
lasciarsi andare, una paura di essere. [...]
Molti di noi [...] lottano per sopravvivere in un mondo 'freddo' e negano il
desiderio di abbandonare la lotta. Utilizziamo le nostre volontà per continuare
ad andare avanti, il che significa che la scelta di vita in questo caso è fare,
non essere. Poi, abbiamo paura di abbandonare il 'volere', il fare, perché
abbiamo paura di morire. Se abbiamo paura di morire, abbiamo paura di vivere o
di essere. E se abbiamo paura di vivere, abbiamo paura di poter morire. [...]
Abbandonare la lotta elimina il desiderio di morire e toglie la paura della
morte. Apre la porta a una vita e a un essere che sono veramente pieni.
[...]
Non osiamo contestare i valori con cui viviamo né ribellarci ai ruoli che
assumiamo per paura di mettere in dubbio la nostra salute mentale. Siamo come i
ricoverati di un ospedale psichiatrico che devono accettarne l'inumanità e
l'insensibilità come se fossero una cura intelligente: altrimenti non sono
considerati sani abbastanza per uscirne. [...]
L'idea che gran parte della nostra vita contenga follia e che per essere sani,
dobbiamo darle sfogo, fu sviluppata da R.D. Laing. Nella prefazione al suo libro
L'io diviso, Laing scrive: «[...] Desidererei quindi mettere l'accento
sul fatto che il nostro stato 'normale', 'adattato' significa troppo spesso
rinuncia all'estasi, incapacità di vivere le nostre vere potenzialità [...]».
[...]
Il nevrotico sfugge facilmente alla follia: la evita bloccando l'eccitazione,
cioè riducendola a un punto in cui non c'è pericolo di esplosione o di scoppio.
In realtà il nevrotico subisce una castrazione psicologica. Tuttavia, il
potenziale della liberazione esplosiva è ancora presente nel suo corpo, sebbene
sia rigidamente sorvegliato come se fosse una bomba. Il nevrotico è in guardia
contro se stesso, terrorizzato all'idea di lasciare andare le sue difese e di
dare libera espressione alle sue sensazioni. 'Homo normalis', lo chiama
Reich, egli ha rinunciato alla libertà e all'estasi per ottenere la sicurezza di
essere 'ben adatto'" (pp. 88,
96-97, 111-112).
Tutti nevrotici con una nostalgia segreta della propria animalità.