"Non mi trattengo nello stato assoluto" (Lin-chi)
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"Non mi trattengo nello stato assoluto" (Lin-chi)


Continuiamo a leggere dal Lin-chi-lu:

"L'uomo nobile è colui che ha nulla da fare. Semplicemente non sforzatevi, siate soltanto ordinari. Ma voi correte qui e là all'esterno e fate domande, cercando qualcuno che vi aiuti. State sbagliando tutto! Cercate soltanto il Buddha, ma il Buddha è unicamente un nome. Non sapete che cosa è ciò che vi affannate a cercare? I Buddha e i patriarchi dei tre periodi e delle dieci direzioni si manifestano solo per cercare il Dharma. Anche voi, seguaci della Via, che siete gli studenti di oggi, dovete soltanto cercare il Dharma. Conseguite il Dharma e avrete finito. [...]
Cosa è il Dharma? Il Dharma è il Dharma della mente. Il Dharma della mente è senza forma, permea le dieci direzioni e manifesta la sua attività proprio davanti ai vostri occhi. Poiché gli uomini non hanno abbastanza fede in ciò, accettano nomi e frasi e si sforzano di speculare sul Dharma del Buddha partendo dalle parole scritte. Essi e il Dharma, il cielo e la terra sono lontani!
Seguaci della Via, quale è il Dharma che io, questo monaco della montagna, espongo? Io espongo il Dharma della mente-terra, con cui si può penetrare il profano e il sacro, il puro e l'impuro, il reale e il temporale. Ma fate attenzione, vi sbagliate se supponete che il vostro reale e temporale, profano e sacro, possano attribuire un nome ad ogni cosa reale e temporale, profana e sacra. Il reale e temporale, il profano e sacro non possono attribuire un nome a «questo» uomo. [...] Quando questo vecchio monaco siede risoluto e arriva un seguace della Via a interrogarmi, io lo comprendo perfettamente. Perché è così? Solo perché la mia intuizione è diversa: all'esterno non scelgo fra profano e sacro e, all'interno, non mi trattengo nello stato assoluto. La mia vista è penetrante e sono libero da ogni dubbio" (dal cap. XI).

Il nobile fare è un fare che è un non fare, assolutamente privo di sforzo, è uno stato originariamente semplice, privo di qualsiasi artificio. Un fare estrovertito mi costringe ad uno sforzo che mi fa uscire da me, mi esclude dal mio spazio silenzioso: mi getta nella condizione dualistica, del "fuori", mi detta le sue regole fatte di molteplicità, di interrogativi che cercano risposte, di problemi che chiedono aiuti. Allora cerco il Buddha per la mia illuminazione, per la salvezza dal mare dell'inquietudine. Il Buddha diventa salvagente, contenitore di dottrine, di verità, oggetto, idolo. Conseguire il Dharma è invece essere nel vuoto, entrare in quell'insegnamento che fin dall'origine non contenne mai alcuna parola. È il Dharma senza forma, onnipresente, sempre manifesto nel respiro del mondo, in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni parola, in ogni nome, in ogni movimento, in ogni ente.
Non constatare questa verità conduce alla ricerca di una verità ultramondana, la verità della filosofia, la verità della religione, la verità - appunto - come esito di una ricerca. La ricerca della verità deriva dalla mancanza di fede nel Dharma della mente; la ricerca della verità nei nomi, nelle frasi, negli scritti è la lontananza dalla verità del mondo, dalla sua bellezza, dalla sua presenza, dalla sua immanenza, dalla sua totalità. Non c'è verità né ricerca della verità, non c'è sacro né profano, non c'è puro né impuro, ... Tutto è penetrato dal Dharma e nulla può misurarlo, circoscriverlo, definirlo, indicarlo. Non c'è scelta da fare, non c'è stato su cui permanere: è tutto vuoto e cangiante, è tutto silenzio e movimento. È la libertà dell'assenza, dell'abbandono, del fluire. Cadi e non c'è nulla cui aggrapparti; cadi e la libertà è non trattenersi. Che perfezione...