"Sommerso nella sorgente profonda" (Lin-chi)
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"Sommerso nella sorgente profonda" (Lin-chi)


Continuiamo a leggere dal Lin-chi-lu:

"Un monaco domandò: «Che ne è del filo della spada?». Il Maestro disse: «Disastro, disastro!». Il monaco esitò e il Maestro lo battè.
Uno chiese: «Nel caso di quel fratello laico che puliva il riso dove andò quando dimenticò di muovere i piedi?». Il Maestro disse: «Sommerso nella sorgente profonda».
Poi continuò: «Per poco che uno venga da me io non mi faccio mancare e so sempre da dove viene. Se viene così pensando di venire così è come se fosse perduto. Se viene non-così è come se si fosse legato da sé senza corda.
In ogni occasione guardatevi di pesare a destra e a manca, comprendere e non comprendere: tutto ciò è falso. Questo è quello che dichiaro molto chiaramente e la gente del mondo intero può dire di me tutto il male che vuole. Vi ho visti in piedi per troppo tempo, salute!»" (cap. VI).

Il filo della spada è il filo della discriminazione, simbolo della saggezza. La saggezza, come una lama, uccide l'ignoranza. Anche qui l'allievo tenta un confronto intellettuale e Lin-chi reagisce svicolando. Che ne è allora del filo della spada? Ne è nella misura nella quale si svicola dall'interrogazione su di essa. Domandarsi intorno all'essenza della saggezza è un disastro. Per questo il Maestro batte il monaco che non capisce il senso della sua risposta. E disastro è ciò di cui si deve fare dell'infinito domandare che separa dalla realizzazione del filo della spada.
Poi un altro monaco chiede dove si trovò interiormente quel laico che puliva il riso quando dimenticò di muovere i piedi. Si riferisce a Hui-Neng, il sesto patriarca, il quale raggiunse una prima esperienza di illuminazione quando, essendo al mercato a vendere legna da ardere, incontrò, camminando per la strada, un uomo che recitava il Sutra del Diamante: udendo il testo, la sua mente fu illuminata. Era quindi nella sorgente profonda: nella sorgente, nel vuoto, nell'abbandono alla dimenticanza. Le gambe si muovevano, camminava, ma la mente era assorbita in se stessa, libera dai suoi contenuti rappresentativi.
Lin-chi continua a parlare. Dice: incontro qualcuno e questo non mi fa uscire fuori di me. Rimango centrato, lo vedo, lo riconosco, mi sento, mi appartengo. Sento la situazione, è tutto vuoto, lo respiro. Non due, nemmeno uno: è tutto aperto, c'è solo l'aperto. Nell'aperto si deve andare aperti, senza pesi, senza zavorre: privi quindi di qualsiasi autoriflessività, vuoti di alcuna considerazione su se stessi. Venire così o non-così è tenersi legati, essere perduti: si è aggrappati alle proprie rappresentazioni e quindi non abbandonati alla vuotezza originaria. Venire pensando di venire in qualche modo è ancora muoversi su un percorso. Ma non c'è tragitto, non c'è via e non c'è qualcuno che si muova su questa via. Essere nella sorgente profonda è non essere più nella propria storia personale, fuori dalla propria biografia: è non essere, non apparire, non provenire, non andare, non stare.
Così si è fuori dai dualismi: dai così e dai non-così, dalla destra e dalla manca, dal comprendere e dal non comprendere. Significa anche superare l'idea naif dello zen come pratica anti-intellettuale, irrazionale. Appunto: da superare non solo è il comprendere, ma anche il non comprendere. Non deve rimanere nulla: nemmeno il soggetto che comprende o non comprende.