"Qual è il principio fondamentale del Buddhismo?" (Lin-chi)
Cominciamo a leggere oggi brani tratti da uno dei più famosi testi tradizionali
zen, cioè il Lin-chi-lu, ovvero la raccolta di detti di Lin-chi, maestro
del IX secolo:
"Il consigliere Wang, che aveva il titolo di governatore
ed i suoi funzionari, avevano invitato il Maestro a parlare. Il Maestro salì sul
seggio e disse: «Se io oggi salgo su questo seggio è perché non posso fare
altrimenti per mandare avanti il nostro grande affare. Se mi tenessi alla
tradizione della nostra linea di patriarchi e di discepoli non aprirei la bocca
e voi non sapreste dove mettere il piede. Ma prendendo in considerazione la
preghiera del signor consigliere, come posso nascondere i miei principii? C'è
dunque qualche abile generale che sia pronto sul campo per disporre le proprie
truppe ed ha spiegato le sue bandiere? Che testimoni davanti all'assemblea!». Un
monaco domandò: «Qual è il principio fondamentale del Buddhismo?». Il Maestro
gridò «kwatz» ed il monaco si inchinò profondamente. Il Maestro disse: «Ecco qui
uno che si mostra capace di sostenere la discussione»" (cap. I).
Allora: Lin-chi è praticamente costretto a fare la parte del
maestro che insegnerà qualcosa sullo zen ai suoi ascoltatori. Gli viene chiesto
dal governatore stesso... Dunque parla, ma fosse per lui tacerebbe. E tacendo,
gli uditori non saprebbero che via prendere. I poco accorti cercano la via,
Lin-chi vorrebbe dare a intendere, con il suo silenzio ipotetico, che è proprio
questo il problema: cercare la via. Non c'è via su cui incamminarsi, non c'è
percorso da compiere rispetto ad altri. Proprio quella è la via che non è via.
Il suo silenzio è da accostare all'affermazione del Buddha in punto di morte, il
quale, sollecitato dal suo più devoto discepolo Ananda a restare ancora nel
ciclo del samsara per continuare ad insegnare agli uomini, afferma che per tutta
la sua vita di Buddha non ha mai pronunciato una sola parola.
Quindi Lin-chi parla, ma le sue parole sono totalmente vuote. In realtà non
insegna alcunché: il governatore lo invita a parlare e lui rimanda la palla al
suo uditorio. Qualcuno ha domande da fare? Davanti al silenzio è sempre assai
difficile porre una domanda. Si sente la sua inopportunità, si corre un grande
rischio. Un monaco azzarda e pesantemente. Si permette infatti di fare la
domanda delle domande, di sottoporre all'attenzione del Maestro la questione
centrale; va direttamente al picco metafisico più alto, chiedendo intorno al
"principio fondamentale". Ma è proprio questo eterno domandare che è necessario
abbandonare, che ha da giungere alla sua fine, alla sua quiete. Soprattutto il
domandare filosofico, concettuale, metafisico, spirituale, per non trasformare
la pratica della vita in pratica del pensiero. E infatti Lin-chi risponde con il
suo classico urlo, quel «kwatz» che spesso lo vediamo usare nel suo
insegnamento. Anche qui: nessun significato, nessuna teoria, nessuna risposta,
solo un scuotimento, un colpo per fare cadere l'impalcatura del logica
concettuale.
Il monaco riesce ad essere nella situazione, a non perdere la sua occasione.
L'insolita reazione è di non stupore, di non sbigottimento. Semplicemente un
inchino. Sente che c'è qualcosa, si apre, accoglie. Accoglie cosa? Nulla. O
meglio, si potrebbe dire: il nulla, uno spazio vuoto. Un urlo improvviso,
imprevisto, come risposta, produce una radura, se trova luogo per il suo
riverbero. Allora: ecco qualcuno che può entrare nella via, qualcuno che può
ascoltare l'insegnamento, il non-insegnamento che Lin-chi ha da non-proporre.
Può sostenere la discussione, perché in sé l'ha già svuotata da dentro. Nessun
domandare, nessun urlo, nessuna risposta, nessuna meta. Nessuno più che domanda
e nessuno più cui domandare.