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"Fare la pace con se stessi, con il mondo" (Pierre Lévy)

 


"Fare la pace con se stessi, con il mondo" (Pierre Lévy)


Continuiamo a leggere da Il fuoco liberatore di Pierre Levy:

"Uno dei nostri errori è di voler accumulare. Accumuliamo conoscenze, esperienze, meriti, rancori. Il senso di colpa è un altro modo ancora di accumulare colpe. La difficoltà sta nel mollare la presa per aprirsi a ciò che esiste realmente: l'istante presente.
[...]
Chi vive della vita dell'anima, chi non si lascia intrappolare dai pensieri e dai concetti, chi ha sviluppato la propria sensibilità e la propria attenzione per l'istante d'esistenza che è tutto ciò che esiste, costui non può più sferrare aggressioni.
[...] La sofferenza è una guerra di sé contro di sé, un sé che vorrebbe vivere altro dall'istante d'esperienza.
[...] Non determiniamo, o solo molto approssimativamente, ciò che accade nel mondo «esterno». Allo stesso modo determiniamo molto poco ciò che riguarda il nostro corpo (nascita, crescita, malattia, vecchiaia, morte) e ciò che accade nella nostra mente (percezioni, pensieri, emozioni). Ma tutto lo sforzo di liberazione consiste nel controllare, quanto più possibile, ciò che accade nel nostro mondo, l'unico mondo reale dal punto di vista dell'esistenza: la nostra vita. Evidentemente, il progetto di un «controllo totale» è illusorio. Come va inteso dunque il controllo da raggiungere? Fare la pace. Fare la pace con se stessi, con il mondo. Fare la pace con l'assenza di controllo. Essere il più completamente possibile al centro della propria vita. Assumere la propria identità con quella dell'esistenza totale: «Esisto il mondo». Non si tratta dunque di assicurare il dominio da parte di un soggetto su ciò che gli sarebbe «esteriore», su un oggetto che vorrebbe sfuggirgli, bensì di adottare precisamente il procedimento inverso.
[...]
Non c'è niente da volere, niente da fare. Il mondo è già stato creato. Non dobbiamo fare altro che ricevere i doni innumerevoli che ci vengono dati ogni secondo: la vista, l'udito, la ricchezza dei sentimenti, la profondità e la luminosità degli esseri.
[...] Quando meditiamo, smettiamo di agire. Smettiamo allo stesso modo di essere agiti dall'irritazione e dalla mancanza che osserviamo venire e dissolversi. È sufficiente lasciare l'agitazione per rendersi conto che possiamo lasciare il mondo così come è, che possiamo godere della semplice esistenza sempre presente, sempre disponibile.
[...] Proprio come il Giardino dell'Eden, il Nirvana non può essere né prodotto, né costruito. Smettiamo semplicemente di desiderare, di agire, di manipolare, di fabbricare, di calcolare, per accontentarci di essere attenti al mondo, a noi, al nostro corpo, alle nostre emozioni, al libero gioco del nostro intelletto" (pp. 240, 252-255, 261-262).