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Da Lampada a se stessi di Pier Cesare Bori (Corrado Pensa)

 


Da Lampada a se stessi di Pier Cesare Bori (Corrado Pensa)


Continuiamo a leggere brani tratti dal testo di Pier Cesare Bori.
Un brano tratto da Attenzione saggia, attenzione non saggia di Corrado Pensa:

"C'è una rinuncia, un lasciar andare molto fondamentale ma difficile, che è la rinuncia all'autosvalutazione. È difficile perché dobbiamo arrivare a vedere in profondità questo attaccamento a una egoità mascherata dal contrario di egoità, ma che in realtà è sempre un modo di essere al centro...
Vorrei citare in proposito un passo di un mistico islamico, un autore sufico del secolo scorso al-'Arabī ad-Darqāwī, che dice:
«Se desideri liberarti della tua anima egoica, rifiuta, lascia andar ciò che cerca di suggerirti, e non curartene affatto, perché è certo che non cesserà di assalirti e non ti darà tregua. Ti dirà per esempio che sei perduto. Le sue insinuazioni non ti turbino, né ti spaventino qualunque esse siano, ma resta seduto se eri seduto, o in piedi se eri in piedi, continua a dormire se dormivi, a mangiare se mangiavi, a bere se bevevi, a ridere se ridevi, a pregare se pregavi, a salmodiare se salmodiavi».
Nel terzo dei discorsi mediani, il Buddha racconta di quando veniva sopraffatto dalla paura nelle foreste, durante il periodo di pratica intensiva che precedette la sua illuminazione:
«Quando arrivava la paura, se stavo in piedi rimanevo in piedi, se stavo camminando continuavo a camminare, se stavo seduto rimanevo seduto, se stavo sdraiato rimanevo sdraiato».
Che cosa vuol dire? Vuol dire non dare potere alla paura, non dare fiducia alla paura. Non significa negare o ignorare la paura. È l'atteggiamento saggio che risuona in entrambi questi testi, quello sufico e quello del Buddha.
Continua al-'Arabī:
«Non ascoltare la voce della tua anima egoica, salvo che ti dice: 'Tu sei nelle mani di Dio, e la sua grazia e la sua generosità sono immense'».
In termini buddhisti potremmo dire: «Tu sei nelle mani del Dharma, che vuol dire sostegno indefettibile, che è bello all'inizio, alla metà e alla fine, e che è il cammino interiore e il suo frutto». E prosegue:
«L'anima egoica non cesserà di tormentarti con le sue insinuazioni se non rimarrai impassibile come ti abbiamo indicato. Ma se le presti attenzione ti dirà che sei rovinato e che sei un malfattore».
Sono modi forti, tradizionali, ma l'autosvalutazione è qui in primo piano. Preferiamo rinunciare ad abboccare a queste proliferazioni mentali che ce ne dicono di tutti i colori, o preferiamo crederci? Vogliamo identificarci o vogliamo «continuare a mangiare, continuare a rimanere seduti», eccetera, cioè a «praticare la consapevolezza equanime che porta alla comprensione, che porta al sereno disincanto, che porta al lasciar andare?»" (pp. 105-106).

Un altro brano dove Bori riprende un testo di Corrado Pensa:

"Il Buddha insiste sulla necessità di essere attakāmo, letteralmente «amanti di sé», dediti al proprio sviluppo e alla propria maturazione. E qui mi sembra che ci sia un punto specialmente profondo riguardo ad accettazione ed egoità. Infatti ci si potrebbe chiedere come mai si possa conciliare l'insegnamento del non-sé (anattā) con l'incoraggiamento a essere «amanti di se stessi» (attakāmo). La risposta, a me sembra, è una precisa esperienza che ci viene dalla pratica della consapevolezza-accettazione: quanto più noi amiamo noi stessi in maniera matura, tanto meno solido diventa il senso dell'io, il percepirsi come entità separata, l'egoità. Al contrario, quanto più ci svalutiamo, ci rifiutiamo e ci odiamo, tanto più si consolida l'egoità. Dunque se siamo sorretti dalla forza pacificante che nasce dal giusto amore di sé, riusciamo a discernere l'inconsistenza (anattā) del nostro modo abituale di vedere le cose secondo solidità e separazione" (p. 71).