Quella volta Chaitanya soggiornava
nella città di Puri:
una cagna rognosa, in fin di vita
si accostò zoppicando e domandò:
"Signore è vero?
Solamente l'uomo
possiede un'anima immortale?
Allora io
che cosa sono?".
Disse Chaitanya:
"Madre
chi hai conosciuto fino adesso?
Chi ancora non distingue
che il fuoco brucia e la neve raggela?
C'è un'armonia che non diventa canto:
sta nell'albero, preso
tra folate di vento, nella quiete
dell'acqua, nella stessa
agonia intensa che ti affligge.
Ogni nascita è una parola detta
in una lingua in cui ciò che si dice
esiste insieme a ciò che non è detto.
Chiedi
a questa brezza che alita lieve
sulle tue piaghe, chiedi
da dove proveniamo.
Ascolta
come fa questa pietra:
l'oro le corre nelle vene e lei
rimane imperturbata fino a quando
la scava il fiume.
Chi va in cerca di prove non sa ancora
che la prova è lui stesso.
Ciò che sente una pianta quando è in fiore,
il frutto quando è pieno
quello
che per te è movimento
e l'uomo intende come libertà
sono una stessa cosa.
Aprono gli occhi
anche i tuoi cuccioletti a quella luce
che non può mai venire imprigionata
all'interno di un tempio.
Tu
non hai creato mai controversia
e dopo, le armi per sanarla;
non sei corsa
dietro al potere:
tu non hai fondato
città che imputridiscono.
Della tua vita hai fatto una canzone
sul battere modesto della coda.
Sei vissuta ascoltando
solo il tuo sangue di diseredata
sei
un monumento all'eguaglianza.
In volontà e azione tu hai coinciso
con la stessa natura. Tu ai accettato
l'umida terra per amica
e l'hai eletta a rifugio
come un albero dentro un cimitero
agitato dai sogni
che esalano le tombe.
L'eternità,
che supera ogni idea e immaginazione
sta qui di fronte a te
come una pagina non scritta".
Chaitanya allora
accarezzò quella creatura
sfregiata dalle piaghe
con le sue dita pure come l'acqua:
latte fluì dalle mammelle inaridite e dove
era stata la cagna ondeggiò lieve
soltanto un fiore bianco.