"Il significato principale della vacuità" (Dainin Katagiri)
"Il significato principale della vacuità" (Dainin Katagiri)
Continuiamo a leggere alcuni brani tratti da Ritorno al
silenzio di Dainin Katagiri:
"La vacuità è ciò che ci permette di aprire gli occhi per
vedere direttamente che cos'è l'essere. [...] Dobbiamo assumerci la
responsabilità dei risultati di ciò che abbiamo fatto, ma l'obbiettivo finale è
quello di non farci ossessionare dal risultato, che sia buono, cattivo o neutro.
È questo che chiamiamo vacuità. Questo è il significato principale della
vacuità.
[...] La cosa importante è non farci prendere dall'ossessione o dalla fissazione
per i risultati che vediamo, sentiamo e sperimentiamo. Tutti i risultati, buoni,
cattivi o neutri, vanno accettati fino in fondo. Non dobbiamo fare altro che
seminare buoni semi giorno dopo giorno, senza lasciarne traccia, senza creare
alcun attaccamento.
[...] Accade sempre qualcosa. Questo è lo zazen. Ecco perché lo zazen è identico
alla vita. L'importante è accettare fino in fondo le cose che accadono. Se
vedete qualcosa che va corretta, correggetela. Se non c'è nulla da fare,
limitatevi a non fare nulla. Qualunque cosa accada, dal principio alla fine,
continuate semplicemente a fare del vostro meglio nello zazen. Non dovete fare
altro. Nello zazen la mente viene regolata; avere una mente regolata significa
non avere alcun presagio di diventare un buddha. Questa è la vacuità.
[...]
Il Buddha è sempre presente in 'ciò che semplicemente è'; buddha semplicemente
è. Se crediamo di comprendere noi stessi, già questo non è precisamente
'ciò che semplicemente è', o quiddità, ossia un essere come si è. Questo
qualcosa che semplicemente è, o quiddità, non è una condizione che possiamo
conoscere attraverso la coscienza. Nel Buddhismo zen si dice che è "quel sé che
era prima che i nostri genitori nascessero", o prima del prodursi di un
qualunque pensiero. Questo è il sé prima che qualcosa attraversi la coscienza.
Il problema è che la nostra coscienza è sempre al lavoro, e va di qua, di là, in
tutte le direzioni, attimo per attimo. Perciò, come possiamo conoscere lo stato
del 'sé che era prima che i nostri genitori nascessero', ossia la quiddità, ciò
che di una cosa semplicemente è? [...] Il modo migliore per compiere questa
indagine è mettersi semplicemente seduti a fare zazen, lasciando che il fiore
della forza vitale sbocci nella quiddità.
[...] Il principio originario dell'esistenza si può cogliere nella vita di un
albero, di un sassolino, delle neve, delle stagioni e di ogni altra forma
naturale. Prima di entrare nel campo della nostra coscienza, questo principio è
ciò che semplicemente è. Il principio originario, in quanto manifestazione del
buddha, non è distinto dalla forma degli alberi, dalla forma del sassolino,
dalla forma delle stagioni o dalla forma della routine quotidiana. È sempre
manifesto, e completo. [...] È là, eloquente. [...] È questo che chiamiamo
Dharma, l'insegnamento. Ogni cosa diventa un insegnamento per noi. [...]
Questo buddha, ossia la pura natura dell'esistenza, non è una cosa astratta; si
manifesta nella sua completezza in ogni singola forma di esistenza. E dunque,
noi possiamo praticarlo, possiamo manifestarlo. Anche se non pratichiamo, siamo
tutti buddha. Ma se non pratichiamo la vita del Buddha, non possiamo
manifestarlo. [...] Dobbiamo praticare ciò che è semplicemente com'è. Che lo
capiamo o no, dimentichiamocene! Dimentichiamolo, perché ciò che è semplicemente
com'è si manifesta direttamente nella sua completezza al di là della nostra
speculazione o della nostra comprensione. È sempre con noi. È una qualità della
nostra esistenza, della nostra presenza. Perciò non dobbiamo fare altro che
vivere all'ombra di questa qualità della nostra presenza. Se ci viviamo dentro,
possiamo manifestarla" (pp. 55-61).