la meditazione come via
vipassana e zazen




 

home

presentazione

meditare

le lezioni

buddhismo

zen

gli esercizi

testi

bibliografia

insegnante

dizionario zen

links

stampa

cerca nel sito

email

newsletter


 

"Il significato principale della vacuità" (Dainin Katagiri)



"Il significato principale della vacuità" (Dainin Katagiri)


Continuiamo a leggere alcuni brani tratti da Ritorno al silenzio di Dainin Katagiri:

"La vacuità è ciò che ci permette di aprire gli occhi per vedere direttamente che cos'è l'essere. [...] Dobbiamo assumerci la responsabilità dei risultati di ciò che abbiamo fatto, ma l'obbiettivo finale è quello di non farci ossessionare dal risultato, che sia buono, cattivo o neutro. È questo che chiamiamo vacuità. Questo è il significato principale della vacuità.
[...] La cosa importante è non farci prendere dall'ossessione o dalla fissazione per i risultati che vediamo, sentiamo e sperimentiamo. Tutti i risultati, buoni, cattivi o neutri, vanno accettati fino in fondo. Non dobbiamo fare altro che seminare buoni semi giorno dopo giorno, senza lasciarne traccia, senza creare alcun attaccamento.
[...] Accade sempre qualcosa. Questo è lo zazen. Ecco perché lo zazen è identico alla vita. L'importante è accettare fino in fondo le cose che accadono. Se vedete qualcosa che va corretta, correggetela. Se non c'è nulla da fare, limitatevi a non fare nulla. Qualunque cosa accada, dal principio alla fine, continuate semplicemente a fare del vostro meglio nello zazen. Non dovete fare altro. Nello zazen la mente viene regolata; avere una mente regolata significa non avere alcun presagio di diventare un buddha. Questa è la vacuità.
[...]
Il Buddha è sempre presente in 'ciò che semplicemente è'; buddha semplicemente è. Se crediamo di comprendere noi stessi, già questo non è precisamente 'ciò che semplicemente è', o quiddità, ossia un essere come si è. Questo qualcosa che semplicemente è, o quiddità, non è una condizione che possiamo conoscere attraverso la coscienza. Nel Buddhismo zen si dice che è "quel sé che era prima che i nostri genitori nascessero", o prima del prodursi di un qualunque pensiero. Questo è il sé prima che qualcosa attraversi la coscienza. Il problema è che la nostra coscienza è sempre al lavoro, e va di qua, di là, in tutte le direzioni, attimo per attimo. Perciò, come possiamo conoscere lo stato del 'sé che era prima che i nostri genitori nascessero', ossia la quiddità, ciò che di una cosa semplicemente è? [...] Il modo migliore per compiere questa indagine è mettersi semplicemente seduti a fare zazen, lasciando che il fiore della forza vitale sbocci nella quiddità.
[...] Il principio originario dell'esistenza si può cogliere nella vita di un albero, di un sassolino, delle neve, delle stagioni e di ogni altra forma naturale. Prima di entrare nel campo della nostra coscienza, questo principio è ciò che semplicemente è. Il principio originario, in quanto manifestazione del buddha, non è distinto dalla forma degli alberi, dalla forma del sassolino, dalla forma delle stagioni o dalla forma della routine quotidiana. È sempre manifesto, e completo. [...] È là, eloquente. [...] È questo che chiamiamo Dharma, l'insegnamento. Ogni cosa diventa un insegnamento per noi. [...]
Questo buddha, ossia la pura natura dell'esistenza, non è una cosa astratta; si manifesta nella sua completezza in ogni singola forma di esistenza. E dunque, noi possiamo praticarlo, possiamo manifestarlo. Anche se non pratichiamo, siamo tutti buddha. Ma se non pratichiamo la vita del Buddha, non possiamo manifestarlo. [...] Dobbiamo praticare ciò che è semplicemente com'è. Che lo capiamo o no, dimentichiamocene! Dimentichiamolo, perché ciò che è semplicemente com'è si manifesta direttamente nella sua completezza al di là della nostra speculazione o della nostra comprensione. È sempre con noi. È una qualità della nostra esistenza, della nostra presenza. Perciò non dobbiamo fare altro che vivere all'ombra di questa qualità della nostra presenza. Se ci viviamo dentro, possiamo manifestarla" (pp. 55-61).