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Il Discorso del Dharma sulla Mente Unica di Bassui - 2 (Philip Kapleau)



Il Discorso del Dharma sulla Mente Unica di Bassui - 2 (Philip Kapleau)


Abbiamo continuato a leggere dal Discorso del Dharma sulla Mente Unica di Bassui Tokusho, tradotto da Philip Kapleau nel suo testo I tre pilastri dello zen:

"Quando [...] ci si ridesta e si esce dal sogno, ci si rende conto di trovarsi nel proprio letto e si comprende che il solo modo per tornare a casa era svegliarsi. Questo [tipo di risveglio spirituale] è chiamato 'ritorno alle origini' [...]. È quel genere di consapevolezza interiore che si può ottenere con una certa pratica. [...] Questo risveglio [...] si fa [...] un grande errore se lo si considera una vera illuminazione solo per il fatto che non si hanno più dubbi sulla natura della realtà. [...]
Dopo aver acquisito questa consapevolezza, chiedetevi ancora più intensamente: «Il mio corpo è come un fantasma, come bolle d'aria su una corrente d'acqua. La mia mente, a ben vedere, è informe come lo spazio vuoto al cui interno tuttavia si percepiscono dei suoni. Chi è che ascolta?». Ponetevi questa domanda con un assorbimento profondo, senza diminuire l'intensità dello sforzo e alla fine la mente si annullerà e nel profondo della coscienza resterà soltanto questo continuo interrogarsi. Infine non si avrà più coscienza del proprio corpo. Le idee e le nozioni più radicate svaniranno [...] e l'illuminazione perfetta si manifesterà come fiori che sbocciano da un albero disseccato.
Con questa consapevolezza si ha la vera liberazione. Ma a questo punto dovete mettere da parte ciò che avete compreso, tornando di nuovo al soggetto che percepisce, cioè all'origine, e andare avanti risolutamente. Allora la Natura del Sé diverrà più fulgida e trasparente man mano che vengono meno le sensazioni nate dall'illusione, come una pietra preziosa che se viene continuamente levigata si fa così brillante che alla fine illumina l'intero universo. [...] Durante lo zazen non dovete respingere i pensieri che si manifestano né attaccarvi a essi; ricercate soltanto la vostra Mente, che è la fonte stessa di questi pensieri. [...] Dovete soltanto porvi la domanda: «Che cos'è la Mente?», oppure: «Chi è che ode questi suoni?». Quando si comprende la Mente si ha la certezza che essa è la fonte stessa di tutti i Buddha e di tutti gli esseri senzienti. [...]
Non desistete mai dal tentativo di comprendere chi è colui che sente. [...] Non riuscirete mai a scoprire colui che sente [...]. Tuttavia è possibile udire i suoni e perciò continuate a interrogarvi al livello più profondo. Alla fine scomparirà ogni traccia di autocoscienza e ci si sentirà come un cielo sgombro di nubi. In voi non troverete più un 'io', né riuscirete a scoprire chi è colui che sente. Questa Mente è come il Vuoto e tuttavia non vi è in essa un solo punto che possa dirsi vuoto. Non scambiate questa condizione per l'autorealizzazione, ma continuate a chiedervi con maggior intensità: «Ora chi è colui che sente?». Se vi porrete di continuo questa domanda, dimentichi di tutto il resto, anche questa sensazione di vacuità scomparirà e non sarete più coscienti di nulla - prevarrà la tenebra più totale. [Non fermatevi qui, ma] riprendete a chiedervi con tutte le forze: «Che cosciò che sente?». Solo quando avrete portato la domanda fino all'esaurimento, essa troverà la sua soluzione; a quel punto vi sentirete come uno che sia resuscitato dalla morte. È questa la vera realizzazione" (pp. 172-174).

Insomma: attraverso la domanda "Che cos'è la Mente?" o "Chi è che ode questi suoni?" o "Che cos'è ciò che sente?" o altre simili intorno alla natura del soggetto intimo, si deve passare dal percepito a colui che percepisce e in esso permanere. Questa domanda in realtà non otterrà mai una risposta ("Non riuscirete mai a scoprire colui che sente"), non ha del resto questo scopo. Il suo fine invece è un lavoro profondo sull'io, in direzione di un suo svuotamento. La soluzione e il termine della domanda coincidono con il termine dell'io. Nessuna risposta era possibile, ma soprattutto: nessuna risposta era necessaria.