La presenza mentale e la vacuità mentale (Philip Kapleau)
La presenza mentale e la vacuità mentale (Philip Kapleau)
Continuiamo a leggere dal
testo di Philip Kapleau,
I tre pilastri dello zen:
"Il ricercatore che non ha successo è ancora prigioniero
dell'illusione dei due universi: l'uno della perfezione, della pace senza
contese, della gioia infinita; l'altro, insensato, del dolore e della paura
quotidiana di cui non mette conto parlare. Egli desidera segretamente il primo
mentre disprezza apertamente il secondo. Tuttavia esita a immergersi nel Vuoto
vitale, nell'abisso della Natura Primordiale, poiché nel profondo del suo
inconscio teme di abbandonare il mondo familiare della dualità per quello ancora
sconosciuto dell'Unità, della cui esistenza dubita ancora. Coloro che riescono a
trovarlo non sono invece soggetti né a paura né a dubbi di sorta. Liberatisi da
ambedue, spiccano il balzo perché non possono fare altrimenti - devono
semplicemente agire così e non sanno neppure perché - in tal modo ottengono il
completo trionfo.
[...]
Lo scopo [...] è dapprima la coltivazione della presenza mentale e poi il
raggiungimento della vacuità mentale. Questi non sono altro che due diversi
gradi di assorbimento. La presenza mentale è uno stato in cui in ogni situazione
si è pienamente coscienti e sempre capaci di reagire appropriatamente. E
inoltre, si è coscienti di questa stessa consapevolezza. D'altro lato la vacuità
mentale ovvero, secondo un'altra definizione, la 'non-mente', è una condizione
di assorbimento così completa che in essa non resta alcuna traccia di
autocoscienza.
Ogni azione derivante da questi stati mentali non può essere né forzata né
discontinua, né tesa né rilassata, non può consistere in inutili movimenti né
comportare uno spreco di energie. Ogni lavoro intrapreso con tale spirito viene
valutato in se stesso senza riferimento ai fini cui può portare. Questa è
l'attività dello zazen, 'priva di merito' e 'priva di fini'. Assolvendo ogni
compito con questo spirito, alla fine riusciamo a comprendere che ogni azione è
espressione della Mente di Buddha. Una volta sperimentata direttamente e
chiaramente questa verità, nessun lavoro può essere considerato indegno di noi.
Al contrario ogni lavoro, per quanto servile, è qualcosa di nobile in quanto
viene considerato espressione dell'Immacolata Natura di Buddha. Questa è la vera
illuminazione" (pp. 201-210).