Continuiamo a leggere brani da Alexandre Jollien,
Il filosofo nudo. Piccolo trattato sulle passioni:
"Esercizio di presenza pura [...]
Attingere la gioia e il piacere nella pratica stessa, ecco ciò che mi aiuta a
distaccarmi, qui e ora, dalla conclusione dell'azione. [...]
Abbandonare i risultati, gli obiettivi, le aspettative per riposarsi nel reale
senza travestirlo troppo, ecco l'esercizio. [...] Non c'è nulla da aggiungere,
bisogna solo togliere ciò che impedisce di essere e di amare.
Riassumiamo: quando va male, [...] bisogna ritornare al presente, [...]
abbandonare le fantasticherie che mi strappano dal mondo e mi fanno sprofondare
tanto spesso nell'insoddisfazione. [...]
Che cosa mi attira dello Zen? Il corpo. Ho l'impressione di aver già vissuto
tanto lontano da lui. L'ho fuggito per non soffrire e mi sono rifugiato in
edifici concettuali. [...] Voglio colmare il vuoto che continuo a scoprire
dentro me stesso, ma devo osare sedermi e non fare nulla, accontentarmi di
essere, arrischiarmi a una presenza sobria. Ecco la sfida più grande. Lo Zen mi
apre a questa gratuità. A costo di qualche dolore e di molte seccature mi calo
man mano in questo corpo, accedo progressivamente al fondo del fondo,
lontano dagli strati superficiali che mi scuotono in ogni direzione. Immagino
che la pace debba abitare tutto l'essere, corpo compreso. Lo zazen è
lasciare che le cose si manifestino senza interferire in esse, senza fare
commenti. Tutto può diventare occasione per lo zazen. Quando cammino,
cammino... senza che il mio spirito vagabondi in giro, senza che io mi perda in
vane fantasticherie che mi separano dal presente. [...]
Più ci abbandoniamo, e meno facciamo caso alla nostra persona, più godiamo di
una gioia libera. [...]
Non è il sacrificio o la rinuncia che conduce al distacco, ma piuttosto la
gioia. [...] Lo svezzato afferma che il distacco nasce dalla gioia, e questa
spinge a osare l'abbandono, a correre il rischio di liberarsi di tutto [...].
Non basta uno schiocco di dita per chiamare a sé questa gioia. E questo la
avvicina alla passione: anche la gioia infatti è più forte di me, non può
dipendere interamente dalla mia volontà. [...]
Posso parzialmente concludere con due affermazioni: a) la gioia è adesione al
reale; b) essa richiede l'accettazione di questa adesione.
Ma per adesso sono ancora la paura e l'odio di me stesso che mi incatenano alla
mia piccola individualità, quella che dovrei lasciar andare. Immagino che sia un
po' come saltare con il paracadute: bisogna lasciarsi andare, altrimenti non si
apre! Avrò l'ardire di lanciarmi? [...]
Più amiamo la vita che è in noi, più possiamo distaccarci da noi stessi. Più
essa ci nutre, più l'ego tirannico e vorace che ci possiede si dissolve.
Desiderio di gioia, sete di felicità, tutto quanto spinge ad abbandonare questo
piccolo io. La gioia si coltiva a domicilio, nel fondo del fondo, lontano
dall'io capriccioso. [...]
Prendo, prendo, prendo. [...] Dovrebbe imporsi invece un altro termine:
ricevere. [...] In zazen cerco di non opporre resistenza, accolgo tutto ciò che
accade senza ritenzione né rifiuto. [...] Saprò allora convertire tutto il mio
essere alla capacità di accogliere? [...]
Mentre scrivo queste righe percepisco il paradosso: voglio cambiare, voglio
progredire. [...] Ebbene, al tempo stesso (la gioia me lo impone) desiderio più
di tutto accettarmi come sono, aderire alle mie passioni, assumere le mie ferite
e la mia fragilità. [...]
Ma è davvero necessario fare della ragione un despota che detta legge al corpo,
nega le sue voglie e rifiuta le sue contraddizioni? [...]
Quanto mi separano dal reale i miei pensieri, isolandomi dall'essere e da tutto
ciò che io sono! Sì, io sono un tutto. La tirannia inizia quando un'unica parte
pretende di avere il sopravvento. È meglio vivere i conflitti senza voler
dominare tutte le forze che agiscono in me, ecco il compito del giorno... o di
tutti quelli che verranno!
Oggi una frase di Nietzsche mi invita a un atteggiamento più ampio, mi invita al
superamento di me stesso: «La buona vittoria deve far gioioso il vinto [...]».
Cercare di avanzare verso un po' di unità, ma senza appiattirsi, senza livellare
ogni cosa. Accettare alcune contraddizioni.
Mi ingiungo di non fissarmi sui miei demoni per assassinarli senza pietà, e
tendo così verso un equilibrio di forze. Ma le parole di Nietzsche tagliano
corto con le ingiunzioni che costellano le mie giornate: «Devo correggere
questo!», «Devo sistemare quel piccolo difetto!», «Devo assumere questo
atteggiamento per contrastare le mie cattive abitudini!»" (pp. 80-81, 90-91,
97-98, 101, 122-123).