Continuiamo a leggere brani da Alexandre Jollien,
Il filosofo nudo. Piccolo trattato sulle passioni:
"Appena un momento fa [...] ho capito che la gioia dipende da
una semplicità pura, senza zavorre, in virtù di un'adesione sobria ma completa
all'esistenza. Per un po' mi sono sentito libero da dispiaceri, rimorsi e
desideri vani. Ho lasciato da parte tutto ciò che distoglie dalla vita per
accogliere il presente in modo tenero e completo. [...] Il dispiacere ci rende
infelici due volte: la prima per non aver realizzato ciò che desideravamo; la
seconda perché riattiviamo la tristezza, sgridandoci per il fatto di provarla.
Tutto l'opposto della gioia, nella quale non giudichiamo mai la vita!
Semplicemente, giudico troppo! Ed ecco un altro giudizio! Come fuggirne? Ma è
poi possibile? Per accogliere tutto ciò che scopro in me devo contemplare senza
troppi commenti il caos che incontro [...]
Accettare, accettare, accettare! La gioia dipende dal non-rifiuto. [...]
Se la gioia proviene dall'adesione al reale, essa richiede che io accolga ogni
aspetto della vita [...]. Implica pure che io non rigetti la mia tristezza né i
miei accessi di rabbia. Questo è necessario, per non cadere in una letizia di
facciata, in una specie di farsa. [...]
La gioia proviene da una adesione che, al suo grado più elevato, accetta l'imperfezione
del mondo. [...]
Se ripenso alla mia infanzia mi rendo conto che i momenti tristi, i dolori e la
pena, non li ho mai vissuti a fondo. [...] Per eliminare e purificare i
germi della tristezza che verranno ad agitarmi, devo proprio [...] osare una
resa incondizionata nei loro confronti? [...]
Quando tutto spinge alla fuga bisogna restare disponibili e affrontare la
tempesta. [...]
Mi rendo conto che ci sono ferite da cui non guarirò mai. Lungi dall'essere
opprimente, questa constatazione libera e mi alleggerisce dal peso di
un'illusoria guarigione totale. [...]
Spossato da tante corse, ho fatto il morto in metropolitana: nessuna tensione
nel corpo, lo sguardo basso, le braccia lungo i fianchi. E se fosse questa
l'accettazione: fare il morto? Per meglio rinascere e sprofondarsi nella gioia.
[...] Sì, io rifiuto questo mondo. Le umiliazioni, le delusioni me ne
allontanano! L'accettazione mi sembra così lontana. Sono sempre più convinto,
tuttavia, che essa non richieda necessariamente uno sforzo, una lotta. [...]
Nei miei commenti non aderisco mai alla realtà. Faccio confronti, mi sottometto
al regno dell'apparenza. [...]
Se si nutre un cane affamato, potete picchiarlo e picchiarlo, ma tornerà di
sicuro il giorno dopo. Ma di certo le ferite resteranno per sempre... Dobbiamo
accettare il fatto che forse non guariremo mai dalle nostre mancanze o dalle
nostre piaghe, accettare che i colpi ricevuti in passato possano ossessionare
l'anima, per aprirci ai doni dell'oggi [...].
Una gioia immensa: la perdita dell'illusione di una guarigione totale.
Ciò di cui avrei bisogno di fronte alle mie ossessioni sarebbe tornare di
continuo a questa interiorità, fare il morto, non rifiutare le ferite [...]. Per
ora mi basta dire: «Non accetto sempre la mia condizione, ma non è un problema».
[...] Per cominciare, posso già accettare il fatto che non accetto. Qui e ora
mi è impossibile un'adesione facile e immediata alla realtà" (pp. 38-39, 44-49).