Abbiamo continuato a leggere alcuni brani da L'essenza dello
zen di Sekkei Harada:
“Dal punto di
vista del Dharma [=la verità], siamo essenzialmente la libertà stessa. Siamo già
liberati, un corpo totalmente libero. Ma dal punto di vista dell’io-sé, non è
affatto così. A causa dell’io-sé nascono ogni sorta di restrizioni. […]
Se l’io-sé viene anche appena percepito, più praticate e più vi allontanerete
dalla Via, dal Dharma e dallo zen. Sarete sempre più lontani dalle cose […].
Poiché non sappiamo che la Via è essenzialmente una, ci mostriamo adirati quando
non ci piace qualcosa e sprofondiamo nell’avidità quando invece ci piace. […]
Guadagno e perdita, amore e odio, questo e quello, bene e male. Significa vedere
una cosa sola come se fossero due. [...] Illusione è vedere una cosa come due.
[…] Illuminazione significa comprendere che, anche se le cose sono separate,
essenzialmente tutto è uno. […]
L’obiettivo principale è dimenticare l’io-sé. […]
Capire veramente, sapere davvero o vedere effettivamente, è «non sapere». La
vera saggezza è «un conoscere in cui non rimane alcuna percezione di quel
conoscere». […]
Nella vostra pratica a un certo punto potreste trovarvi incerti, di fronte a «la
montagna d’argento, il muro di ferro». Non ricorrete a espedienti per abbattere
quel muro. La grande illuminazione può avvenire soltanto se siete «la
montagna d’argento, il muro di ferro» che vi ostacola. […]
Come dobbiamo procedere per dimenticare l’io-sé? Durante ogni percezione, cioè
quando vedete, udite, e così via, riportate ogni cosa a voi stessi. Questo è «il
passo a ritroso che volge la luce all’interno». Poi chiedetevi: «Chi è che vede?
Chi è che sente?». Portando avanti questa pratica e questo studio, la divisione
tra la cosa che vede e la cosa vista scomparirà. Ciò significa che, quando
vedete, lo fate totalmente, e quando udite, lo fate fino in fondo. […]
Né lo specchio stesso che riflette un’immagine, né l’immagine riflessa nello
specchio, sono consapevoli di quel che accade. Vi si dice di sedere come uno
specchio in questo senso. Ma la cosa strana è che di solito la gente cerca di
vedere cosa si riflette nello specchio. Credo che questa sia la condizione
continua del vostro zazen [=meditazione]. Questo sbirciare cosa c’è nello
specchio è quel che chiamiamo la funzione della coscienza dell’io-sé. Deve
arrestarsi. […]
Vorrei che foste così assorti nello zazen da dimenticarlo. […]
Lo zazen non è un mezzo. […] È già il risultato […]. Visto che lo zazen è già il
risultato finale, […] non si tratta di fare qualcosa. Causa ed effetto sono
simultanei. Cercate di comprendere che lo zazen non è un mezzo per ottenere
qualcosa, ma il risultato finale. Il problema è anche se siamo già nel bel mezzo
del risultato, non sappiamo riconoscerlo come nostro. Per questo, anche se siamo
il risultato stesso, ne cerchiamo un altro. […] L’abitudine di cercare risultati
è prodotta dal funzionamento della coscienza dell’io-sé. Ecco perché è
necessario dimenticare questo io-sé. […]
Essere sempre una cosa sola con gli oggetti, con le cose che sono separate da
noi. Se siete una cosa sola con esse, le altre cose non saranno mai fonte di
ansia o di preoccupazione. Gli oggetti sono ciò che riflettete: dovete essere
uno con ciò che udite, con ciò che pensate. […]
Se non comprendete questo punto, innalzerete un alto muro tra voi e tutte le
altre cose. […] Se siete uniti a tutte le cose, il Sé è certamente presente. […]
Anche in un vento che non gli piace,
un salice è
sempre un salice.
[…]
Non pensate al bene e al male, al giusto e allo
sbagliato. Non interferite con le attività della mente e
non cercate di controllare il flusso dei pensieri.
Rinunciate all’idea di diventare un buddha.
[…] Vuol dire […]
in altre parole, abbandonare e dimenticare l’io-sé” (pp. 26-35).