Dai detti del Maestro Huai Hai - 1
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Dai detti del Maestro Huai Hai - 1


"Un giorno Huai Hai disse all'assemblea: «C'è un uomo che non mangia mai, ma non dice di aver fame; c'è anche un uomo che mangia ogni giorno, ma non dice mai che il suo stomaco è pieno».
L'assemblea non reagì al suo detto e rimase in silenzio".

Come dire: c'è qualcosa nell'uomo che rimane silente e neutrale, che è al di là delle tendenze, dei molteplici voleri e non sottostà alla reattività della mente. Sentire quel qualcosa.

"Attaccarsi all'agitazione o alla calma è fare un gran torto ai Buddha passati, presenti e futuri; inoltre cercare qualcosa equivale a parlare il linguaggio dello spirito maligno".

Cioè: essere nello stato al di là del dualismo, nello stare semplicemente nell'agitazione quando c'è agitazione e nella calma quando c'è calma. Accade, è un fenomeno mentale, arriva, si estende e poi cade. Ci trapassi, quindi non ti ci attacchi. Se cerchi qualcos'altro, sei nell'eresia della ricerca infinita.

"Un giorno Huang Po domandò a Huai Hai: «Quale Dharma (insegnamento) gli antichi insegnavano agli altri?». Huai Hai rimase a lungo in silenzio e Huang Po disse: «Allora che cosa trasmetterai ai tuoi discendenti delle generazioni venture?». Huai Hai disse: «Pensavo che tu fossi uno di quelli di grosso calibro», e quindi se ne tornò nella camera dell'abate".

Anche l'idea di un insegnamento che dia contenuti nuovi rispetto a quello che si è sempre creduto, detto, pensato, è l'ennesima sbadataggine. L'insegnamento non è una filosofia da ascoltare, non è un catechismo da introiettare. La risposta di Huai Hai non è l'ennesima posa snob zen: è invece da prendere alla lettera. Quando la verità è vuota di se stessa, cosa trasmettere? In altre parole: non è una cosa. È quella verità non cosalizzata, non oggettivata di cui è simbolo il rientrare nella sua camera da parte di Huai Hai. Ecco: la verità come un rientrare.

"Un monaco domandò a Huai Hai: «Che cosa è Buddha?». E Huai Hai di rimando: «E tu che cosa sei?». Il monaco rispose: «Sono il Tal dei tali». Huai Hai domandò: «Conosci questo Tal dei tali?». Il monaco disse: «Questo è già così chiaro». Huai Hai mostrò un piumino per la polvere e domandò al monaco: «Vedi il piumino?». Il monaco rispose: «Lo vedo».
A questo punto Huai Hai interruppe il dialogo".

Il piumino è l'evidenza. Lo vedi, lo riconosci, senza esitazione. È la realtà che emerge nella sua splendente e incontrovertibile presenza, davanti alla quale non c'è possibilità di tentennamenti, di sotterfugi. È la potenza di ciò che è. È ciò che sbaraglia le interpretazioni, le prospettive, le visioni soggettive: è ciò che è, non ciò che pensi riguardo a ciò che è o dovrebbe essere. La semplicità del piumino e la sua estrema presenza è la semplicità e l'immanenza del ciò che è, della verità vivente.
Altra cosa è invece il conosco me stesso. Mi conosco, so come sono fatto, ho certe qualità, certe peculiarità che sono mie. Quando dico: so come sono fatto... Cioè: so bene chi sono, sono il Tal dei tali, non quell'altro o quell'altro ancora. No, sono io. Ecco: che conoscenza è questa? Psicologia.
E va benissimo. Ma non c'è una conoscenza di me stesso più fondante, più eminente? Qualcosa che sia alla base di tutte le eventuali differenziazioni tra io, tu, egli, ecc.? Una conoscenza di sé antecedente allo psicologico. Una conoscenza come è quella del piumino.