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Si può, sai, stando qui (Mariangela Gualtieri)
Si può, sai, stando qui stando molto fermi sostenere una stella. Si può dire alla foglia di cadere quando è ora e il frutto pilotarlo alla maturazione. Si può, credi, festeggiare ogni onda scandire i fili d’erba e nominare nell’aria il bene. Spingere il bene alle contrade pacificare spiriti di guerra. Sostenere la fiamma di ogni focolare nelle cucine piccole del mondo, nei tuguri portare la fiammella che trasforma in mangiare i frutti della terra. Tenere l’acqua nella trasparenza. E ferma la montagna senza vacillare.
Stando molto fermi si può adorare. Si può entrare nel dolore di un altro e sollevare, asciugare il bucato. Volare. Si può far cuore col cuore della terra. Si può spezzare in infinità l’umana particella di carne. Scatenare il potenziale atomico che sta in ogni scaglia della nostra pelle. Festeggiare da lì la presente - nostra - eternità.
Stando zitti e fermi è come dire ecco, ingravidatemi. Dirlo alle forze dirlo alle stagioni, al cielo, alle popolazioni invisibili dei mondi. Si fa un atto di fede, stando fermi. Si dice: credo in ciò che non si vede, so che non sono sola adesso in questa camera senza nessuno, so che nel vuoto apparente c’è una corrente feconda, una mano che guida la mia mano, una mente di creazione. So di non sapere il mistero del mondo. E so di preservarlo per la fecondazione d’ogni vivente.
Stando molto fermi si crea una fessura perché qualcosa entri e faccia movimento in noi, e ci lavori piano, come capolavoro da ultimare, a cui l’artista ignoto fa un ritocco con ispirata mano, quasi demente tanto è forte la spinta e delicata la certezza del tocco.
Stando fermi fermi si festeggia la gran potenza che esalta il sole nella sua prestanza e lo depone ad occidente nell’ora stanca – quando ognuno guardando prova una leggera indicibile pena.
E stando fermi la luce entra anche nella più tetra delle notti e l’occhio chiuso può contemplare il buio immenso del corpo dove il respiro entra e si espande.
E l’aria entra ed esce a lente calme sorsate. E l’aria è cielo. Cielo che viene a noi, con particelle di cosmo, e antiche polveri. Fiato di tutto ciò che è stato e del presente e vivo esserci.
Stando molto fermi il pensiero si spande con le sue spire incantate sorge si gonfia in rivoli e pianure allagate, in rovi in labirinti spaccati catapecchie greti radici quadrate. Ecco il pensiero, il divoratore. Stando fermi lo si può lisciare e pettinare e farlo stare giù steso e sospeso e riposto e composto e un po’ arretrato in sottofondo – depotenziato –
Tutto il presente esplode. Stando fermi.
Il nome si deposita sul fondo. Il cognome è un aggeggio antiquato. Nessuno spinge o preme niente s’affretta niente è lontano. E’ finito. Ciò che è lontano è finito. Stando fermi.
E poi si fa concerto col corpo plantare, con le sfere celesti col musicale silenzio delle cose.
Stanno più zitte le cose stando fermi. Resta un palpitare. Tutto pare risponda a un direttore nascosto, non umano, silente, geniale. Stessa partitura secolare d’orchestra.
Stando molto fermi anche un cucchiaino con la sua piccola ombra schiacciata sotto, porta una dose abbondante di mistero col mondo capovolto nella nicchia. Anche una tazza un asciugamano un latte una scatola di puntine, un libro, un vasetto di crema per le mani. Stando fermi è strana più strana la costellazione di cose sul tavolino. La fissità si tende ed è chiaro: l’enigma non si scioglierà.
Questo abbiamo fatto acciaio e carta. Tessiture di fili e di sostanze. E questo siamo. Ultimo abbozzo prima dell’umano.
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