La sofferenza e la reazione ad essa: le due frecce
Ci siamo soffermati, tra un esercizio e l'altro di
meditazione, sulla questione della sofferenza. È ovviamente un tema enorme,
potremmo in un certo senso dire che è il problema centrale. Ricordiamoci della
frase che spesso troviamo nei discorsi del Buddha: "Io insegno solo questo:
cosa è la sofferenza e quale sia la via per uscire dalla sofferenza".
Qual'è la differenza tra il meditante e il non
meditante davanti alla sofferenza? Abbiamo parlato del discorso di Buddha sulle
due frecce: un uomo colpito da sofferenza è come chi venisse trafitto da una
freccia. Il non meditante comincia a reagire con tutta una serie di meccanismi:
imprecazioni, lamentazioni, maledizioni, ecc. Si cade così in una serie di
pensieri imprigionanti, opprimenti: delle vere e proprie gabbie nelle quali ci
ricordiamo quanto stiamo male, fornendo ulteriore carburante alla nostra
situazione negativa. Siamo così colpiti non da una sola freccia, ma da due! La
freccia della sofferenza e quella delle innumerevoli reazioni ad essa. Il
meditante invece riesce a eliminare la freccia dell'ostilità grazie alla sua
stabilità mentale, alla sua non reattività, al suo non attaccamento.
Ecco qui il discorso del Buddha sulle due frecce (Sallena
Sutta).
"Meditatori, sia l'uomo ignorante che l'uomo saggio
che percorre il sentiero percepiscono sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre.
Ma qual'è la differenza tra i due, ciò che li caratterizza?
Facciamo l'esempio di una persona che, trafitta da una freccia, ne riceva una
seconda, sentendo quindi il dolore di entrambe le ferite. Ecco, la stessa cosa
accade quando un ignorante, che non conosce l'insegnamento, viene a contatto con
una sensazione spiacevole e - come reazione - si preoccupa, si agita, piange,
grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà. Quindi egli fa
esperienza di due dolori: quello fisico e quello mentale. Gravato dalla
sensazione spiacevole, reagisce con avversione e, con questo atteggiamento,
inizia a creare in sè un condizionamento di avversione.
Infatti, quando prova queste sensazioni negative, egli cerca il diletto in
qualche sensazione piacevole, perchè - da persona ignorante quale è - non sa
rispondere correttamente ad una sensazione spiacevole se non cercando riparo nel
piacere dei sensi. E quando comincia a godere di un piacere, allora comincia ad
instaurarsi in lui un condizionamento al desiderio, alla bramosia.
Egli è completamente inconsapevole di come vadano le cose, non sa cioè che le
sensazioni sono impermanenti, non sa quale sia l'origine della bramosia verso di
esse, non conosce il pericolo che rappresentano, e non sa quale sia la via per
non esserne schiavi.
Questa sua incapacità crea dentro questo tipo di uomo un condizionamento di
ignoranza. Provando sensazioni piacevoli, spiacevoli o neutre, l'ignorante,
rimanendone condizionato, lontano dalla verità, è soggetto alla nascita, alla
morte, alla vecchiaia, ai turbamenti, alle sofferenze, alle negatività.
L'ignorante è così destinato all'infelicità.
Invece l'uomo saggio, che percorre la via della verità, quando prova una
sensazione spiacevole, non si preoccupa, non si agita, non piange, non urla, non
si batte il petto, non perde il senso della realtà.
È come chi venga trafitto da una sola freccia e non da due, percependo solo un
tipo di sensazione spiacevole, quella fisica e non quella mentale. Colpito così
da questa sensazione, non reagisce con avversione, e così non si forma in lui
un condizionamento all'avversione. Inoltre non cerca rifugio in una sensazione
piacevole per sfuggire quella spiacevole che sta vivendo. Egli sa, da persona
saggia che è sulla via della verità, come ripararsi dalla sensazione
sgradevole senza cadere nel piacere dei sensi. Così evita di creare un
condizionamento di bramosia e desiderio. Egli comprende la realtà così come
essa è effettivamente, del perenne sorgere e passare delle sensazioni, di quale
sia l'origine della bramosia verso esse, del pericolo che essa costituisce e del
modo di uscirne. Avendo dunque la perfetta e completa comprensione della
realtà, egli non permette che si formino in lui questi condizionamenti di
ignoranza.
Quindi il meditante impara a rimanere equanime e distaccato qualora si
manifestino sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre. Così facendo, chi
cammina sulla via del retto insegnamento, rimane distaccato anche dalla nascita,
dalla vecchiaia, dalla morte, dai turbamenti, dalle sofferenze e dalle
negatività. Egli è equanime davanti a tutte le sofferenze. Questa è la
differenza tra il saggio e l'ignorante.
L'uomo saggio, concretamente addestrato nella pratica del retto insegnamento,
rimane equanime di fronte alle sensazioni gradevoli e sgradevoli che sorgono
nella sua persona".