A sedere, nella
postura usuale. Le mani dovranno assumere la seguente posizione. In grembo,
la mano destra sotto, quella sinistra sopra. Facciamo coincidere la seconda
falange delle dita medie tra loro e da qui costruiamo la posizione: uniamo dita
tra loro - a parte i pollici - e poi uniamo i pollici facendoli toccare.
Le mani vanno tenute nel grembo, ma non completamente appoggiate all'attaccatura
delle nostre gambe. Una leggerissima tensione dovrà essere necessaria per
mantenere la posizione delle mani non del tutto in riposo sul nostro corpo. Il
punto di unione tra i pollici dovrebbe comunque risultare poco più in basso del
nostro ombelico.
I pollici vanno mantenuti allineati tra loro. L'uno dovrebbe essere la
continuazione dell'altro. Durante la pratica di zazen, all'inizio, non
abbiamo familiarità con la sensazione dei due pollici che si toccano. Allora
potrà capitare che non riusciremo a cogliere, intuitivamente, la posizione
dei nostri pollici: saremo forse costretti a guardarli, ad abbassare lo
sguardo per capire in che posizione si trovano. Ma con il tempo, con la
pratica, la leggera sensazione dei polpastrelli dei pollici che si toccano,
diventerà qualcosa a noi familiare, attraverso la quale capiremo,
semplicemente sentendola, in che situazione si trovano.
Questa è la classica posizione "a monte" dei pollici. Rivela una tensione a
livello mentale e fisico: una tensione che partendo dalle spalle e passando
lungo le braccia, si viene a scaricare sui due pollici, che quindi si
alzano.
Va il più presto possibile rilevata attraverso la nostra consapevolezza
della postura e della posizione del mudra delle mani, e lasciata andare.
Zazen non è tensione, sforzo, impegno coatto.
Questa invece è la posizione "a valle" dei pollici.
Rivela, al contrario della posizione "a monte", uno stato di torpore, di
obnubilamento: una pratica che sta andando verso l'intontimento, il
dormiveglia.
Zazen invece è lucidità, attenzione vigile, consapevolezza. Essere svegli e
rilassati.
Quindi il perfetto equilibrio tra impegno e svuotamento. Nella postura delle
dita si rivela il nostro stato, che non deve essere né contratto (posizione
"a monte"), né di torpore (posizione "a valle"), ma limpido, nitido, chiaro
(pollici allineati).
Contiamo ogni ispirazione ed espirazione, fino ad arrivare a dieci. Uno:
ispirazione ed espirazione. Due: inspirazione ed espirazione. Ecc.
Dobbiamo essere aderenti al respiro. In ogni istante dell'ispirazione e in ogni
istante dell'espirazione, devo essere presente a quel preciso punto del mio
respiro. Non lo devo modificare, solo esserne consapevole. Mi applico al flusso
del respiro, cercando di divenire tutt'uno con esso. Non lo penso, non lo
immagino, non lo visualizzo, non mi applico alla sensazione della pancia che si
espande e che si contrae, non mi applico alla sensazione dell'aria che sbatte
nello spazio tra le mie narici e il labbro superiore. Sono invece nel respiro in
sé.
Non appena arriva una distrazione qualsiasi, qualcosa che mi devia dalla mia
centratura sul respiro, ripongo la mia attenzione sul respiro medesimo e
ricomincio a contare da uno.
Quindi nei primi tempi arrivare a due, o a tre, sarà già di per sé un'impresa
notevole, se saremo sinceri con noi stessi.
Dobbiamo stare ben attenti a due possibili errori che facilmente vengono fatti
in questo caso.
Il primo errore è un moto di ribellione, di sconforto o di impazienza non appena
arriva la distrazione, non appena mi vedo costretto a riprendere a contare da
uno. Devo invece mantenere uno stato mentale inalterato, non succube a idee di
riuscita o fallimento. Come un automa mi devo dare al mio esercizio con estrema
imperturbabilità, scartando concetti di giusto o sbagliato.
Il secondo errore è intraprendere lo zazen come una gara con se stessi, e questo
può essere provocato soprattutto dal conteggio da uno a dieci. Conto e mi vedo
avvicinarmi a dieci. Formulo quindi l'idea: ce la sto facendo, ancora poco e
arrivo a dieci. Inutile dire che appena nella mia mente nasce un pensiero di
questo tipo, dovrò ricominciare da uno. Altrettanto ovvio dire che lo scopo di
questa pratica non è arrivare a dieci. Alcuni, per eliminare a monte questa
possibile caduta, suggeriscono di non contare fino a dieci, ma di contare sempre
uno: inspirazione, espirazione - uno -, inspirazione, espirazione - uno -,
inspirazione, espirazione - uno -, ecc.