"Tendenza ad espandere il male fuor di sé": due brani di Simone Weil
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"Tendenza ad espandere il male fuor di sé": due brani di Simone Weil

All'inizio della lezione abbiamo letto due brani di Simone Weil, filosofa e mistica francese vissuta nella prima metà del '900:

“Non dimenticare che in certi momenti dei miei mal di testa, quando la crisi cresceva, avevo un intenso desiderio di far soffrire un altro essere umano colpendolo precisamente nel medesimo punto della fronte.
Desideri analoghi, frequentissimi fra gli uomini.
Spesso, in quello stato, ho ceduto almeno alla tentazione di dire parole che potessero offendere. Obbedienza alla pesantezza. Il massimo peccato. Si corrompe così la funzione del linguaggio, che è quella di esprimere i rapporti fra le cose”.

“Meccanica umana. Chiunque soffre cerca di comunicare la sua sofferenza [...]. Tendenza ad espandere il male fuor di sé: e io l’ho ancora! Gli esseri e le cose non mi sono sacri abbastanza. Così potessi non macchiare io nulla, quand’anche fossi tutta trasformata in fango. Non insozzare nulla, nemmeno il pensiero. Nemmeno nei momenti peggiori potrei distruggere una statua greca o un affresco di Giotto. Perché lo farei dunque con un’altra cosa? Perché, per esempio, con un istante della vita d’un essere umano, che potrebbe essere un istante felice?”.

Simone Weil è, come sempre, molto interessante. Ecco, qui si parla delle tendenza universale a rendere partecipe del proprio dolore chi ci sta vicino. Non solo persone, bensì anche le cose. Soffro interiormente per uno sgarbo altrui, per una parola di troppo, per una preoccupazione, e non riesco a vedere ciò che mi sta davanti, ciò che mi si dice: tutto viene distorto, non ho più un contatto pieno e totale con la realtà. Si obbedisce a questo stato negativo e ci si fa catturare: anche il linguaggio ne viene contaminato. Il mio parlare non riflette più la realtà, ma le mie distorsioni, le mie tensioni, che rinfaccio all'esterno, eventualmente anche con una serie di offese, condanne, recriminazioni ...
Ma così si sporca la realtà. Stupendo il secondo brano: avere la stessa cura per la realtà di quella che si ha per la bellezza pura, come una statua greca o un affresco della Cappella degli Scrovegni. Rispettare la vita altrui, avere a cuore l'altrui felicità.
Nella pratica meditativa si realizza tutto questo: entri dentro e lì trovi il campo di battaglia. Lì trovi anche un punto silenzioso, nascosto, di cui non eri a conoscenza, che permane nella sua splendida quiete e perfetta benevolenza, anche quando il resto di te stesso vive uno stato di inquietudine o, più in generale, di negatività.

Oggi abbiamo fatto solo l'esercizio dell'anapanasati e della camminata in meditazione, riservando l'ultimo mezzo giro alla camminata in cinque movimenti.

Alla fine della lezione abbiamo letto e commentato alcune righe tratte dal Sutra di Hui Neng (clicca qui).