"Non ho dovuto fare nulla di speciale" (Pablo d'Ors)
la meditazione come via
tra vipassana e zazen




 

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"Non ho dovuto fare nulla di speciale" (Pablo d'Ors)


Abbiamo iniziato questa settimana a leggere qualcosa da Biografia del silenzio di Pablo d'Ors, sacerdote cattolico spagnolo.

"Per diventare uno che medita, oltre a sedermi quotidianamente [...] non ho dovuto fare nulla di speciale. Tutto consisteva nell'essere quel che ero stato fino ad allora, ma con coscienza e attenzione. [...]
L'attenzione mi ha portato man mano allo stupore. [...]
Se tutto quel che vivo e vedo non mi sorprende è perché, mentre si manifesta, [...] lo sottopongo a un pregiudizio o schema mentale, rendendogli in tal modo impossibile dispiegare davanti a me tutto il suo potenziale. [...]
Si scopre che tutto si gioca nella percezione. Si capisce, insomma, che possiamo essere felici solo percependo la realtà. [...]
Se ci limitassimo a percepire, arriveremmo finalmente a quello che siamo. [...]
Quanto più si medita, maggiore è la capacità di percezione e più fine si fa la sensibilità. [...] L'udito si affina fino a limiti insospettati, e si prende ad ascoltare [...] l'autentico suono del mondo. Tutte le cose, anche le più scialbe, paiono più genuine e brillanti. Si cammina con maggior leggerezza. Si sorride più spesso. L'atmosfera sembra piena di un non so che, imprescindibile e vibrante. [...]
Sono qualcosa di simile a una nave, e più una fragile barchetta che un solido transatlantico. I flutti si trastullano con me a loro capriccio, ma dal tanto guardare l'andirivieni di questi cavalloni, sto cominciando a trasformarmi nei flutti stessi e a non sapere più che ne è stato della mia povera barchetta. Finché, effettivamente, la trovo: «Sì, è lì!» mi dico allora. [...] Ogni volta che salgo su quella barchetta, smetto di essere io; ogni volta che mi getto in mare, mi ritrovo. [...]
Per meditare non importa sentirsi bene o male, contento o triste, speranzoso o deluso. Qualunque stato d'animo è il miglior stato d'animo possibile in quel momento per fare meditazione. Precisamente perché è quello che si prova. Grazie alla meditazione, si impara a non voler andare in nessun altro posto differente da quello in cui ci si trova; si vuole stare lì dove si è, ma in forma piena. [...]
Tutto nasce e muore dentro di noi [...]. Fare meditazione consiste precisamente nell'assistere da spettatori alla nascita e morte di tutto ciò [...]. Cosa c'è tra la morte di una cosa e la nascita di un'altra? È questo lo spazio in cui sento che devo dimorare; è questo lo spazio dove sgorga la saggezza perenne.
Per le volte in cui ho intravisto qualcosa di questo spazio e vi ho abitato, anche solo per pochi istanti, posso assicurare che la vera gioia è qualcosa di molto semplice [...]. Basta fermarsi, tacere, ascoltare e guardare [...].
Essere cosciente consiste nel contemplare i pensieri. [...] Esercitare la coscienza è il modo per vivere serenamente senza di lei: totalmente ora, totalmente qui" (pp. 22-31)

Ecco: qualcosa di molto importante e su cui spesso c'è fraintendimento quando pratichiamo. La meditazione non è un continuo distaccarsi dalla realtà, in una condizione di osservatore lontano da essa, da ciò che è, dall'evento, dall'azione, dall'immersione semplice nella datità del momento. Non è questo stato catatonico di perpetua attenzione in una presa di distanza dal flusso delle cose. Questa sarebbe una pratica - che per la verità è portata avanti da molti - che nasce dalla paura. È dare alla paura il nome altisonante di «meditazione».
Si passa da lì, che sia chiaro. È un momento importante di - chiamiamolo così - allenamento: un momento che spesso dura anche il suo tempo. Ma un momento. Ma poi: "Dal tanto guardare l'andirivieni di questi cavalloni, sto cominciando a trasformarmi nei flutti stessi". Sì, deve esserci questa immersione, questa trasformazione che spezza totalmente la distinzione tra il soggetto e l'oggetto, tra l'osservatore e l'osservato. Altrimenti non sarà mai una pratica liberante, una pratica di gioia: ma un continuo, snervante esercizio da palestra. Può divertire, essere un gioco. Ma non è meditazione.
Come si dice a conclusione di questo brano: il lavoro sull'essere cosciente-di deve approdare alla liberazione da esso. Allora sì: c'è solo l'istante, non più colui che lo osserva, non più ciò che veniva osservato. Tutto è glorificato, tutto è quello che è: c'è solo quell'è.