"Ogni sasso è un diamante per chi sa vedere" (Arnaud Desjardins)
Abbiamo letto un paio di brani da
Alla ricerca del Sé
di Arnaud Desjardins:
"Stavo davanti, alla guida, con mio figlio di sei anni, la madre e la sorella
stavano dietro. Quella strada, la prendo un giorno di fine novembre o inizio di
dicembre: grigio, nero, tetro, piovoso, triste, uggioso, c'era tutto ciò. Mi
lascio sfuggire: «Evidentemente, è meno bello di due mesi fa». «Ah!» dice il
bambino, «non trovo affatto». «Come? Non trovi?». «No, non trovo». «Ma è molto
meno bello
di due mesi fa. Ricordi, allora, era così bello, la luce, i colori, tutte le
foglie. Ce n'erano di rosse, di color arancio, di gialle». Dopo un momento, il
bambino finì per comprendere lo spirito tortuoso dell'adulto. Scoppia a ridere e
dice: «Ah, certo, per una foresta in autunno è un vero fallimento, ma per una
foresta d'inverno, lo trovo molto ben riuscito». [...]
Ecco come sono gli adulti che avvelenano i bambini, li strappano al reale e li
obbligano a vivere nel mondo irreale del «dovrebbe essere, non dovrebbe essere».
Sono gli adulti che insegnano ai bambini a sovrapporre altra cosa sulla realtà.
[...] Ho cercato di sovrapporre quella foresta autunnale. [...]
Per prima volta in vita mia, ho visto con i miei occhi una foresta d'inverno,
una foresta sotto la pioggia, una foresta senza foglie, una foresta con il tempo
grigio: «Per una foresta d'inverno, è ben riuscita». Ho visto, senza mentale,
come era perfetta. Da quel giorno, tutto quello che era tristezza d'inverno, dei
giorni che s'accorciano, della pioggia è sparito. I giorni diventano corti:
benissimo. I giorni si allungano: benissimo. Piove: benissimo. Il sole splende:
benissimo. L'inverno è bello, la primavera è bella, l'autunno è bello, l'estate
è bella. Il cambiamento è bello, il ciclo delle stagioni è bello, i giorni che
si accorciano è bello. Ogni sasso è un diamante per chi sa vedere. [...]
«Per una foresta in autunno è un vero fallimento, ma per una foresta in inverno,
lo trovo molto riuscito». [...]
Se non vi è possibile, quali siete oggi, accettare che quello che è sia, in
certi casi e in certe condizioni, perché è troppo atroce o perché lo sentite
come troppo atroce, [...] quello che è possibile allora è di accettare la
sofferenza poiché c'è la sofferenza, accettare completamente la sofferenza,
l'emozione dolorosa. [...]
Due discepoli di Swamiji, [...] una coppia che ha perduto un bambino, [...]
hanno messo l'Insegnamento in pratica. Poiché la loro sofferenza era immensa,
essi hanno accettato la loro sofferenza e, invece di rifiutarla, essi guardavano
il bambino e riconoscevano [...]: «è morto». E poiché non potevano accettare la
morte del bambino, essi accettavano la loro sofferenza, completamente, invece di
dibattersi contro di essa. Tutto il segreto sta lì. Ed essi piangevano,
singhiozzavano, soffocavano. E poi l'emozione accettata pienamente si dissipava
un po'. Allora essi dicevano: «Posso accettare il fatto?». E ritornavano a quel
bambino morto nella culla. Era insostenibile. Allora di nuovo, essi accettavano
la sofferenza e poi, prima che venissero a prendere il bambino per metterlo
nella piccola bara, essi sono stati capaci di vedere il bebè morto, senza
ribellione, senza repressione, senza menzogna. [...]
Al contrario, se c'è repressione, quello che è represso resta molto attivo in
profondità, nell'inconscio e da quel momento, si manifesterà non più a viso
scoperto, ma con un aspetto caricaturale" (pp. 117-119).