"Suona quello che non c'è” (Miles Davis)
la meditazione come via
tra tantrismo, vipassana e zen




 

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"Suona quello che non c'è” (Miles Davis)

 

La disciplina e la libertà. “Impara scale e accordi, poi dimenticale, suonando”, diceva Charlie Parker. Sì, la dimenticanza di tutto, il lasciare andare, il lasciarsi andare nel flusso. Ma scordare la parte iniziale della questione - “impara scale e accordi” - è farne solo una goffa imitazione di una pratica seria. Cado in ciò che è stato chiamato Beat Zen, la spiritualità dello svacco risentito rispetto alla società/famiglia/potere/chiesa/politica/ecc. tanto brutti e cattivi. Sì, brutti e cattivi, ma intanto le mie scale e accordi dove sono? Perché solo da lì c'è poi il grande passaggio di cui parla Miles Davis: “Non suonare quello che c'è, suona quello che non c'è”.

Solo passando da lì c'è l'uscita dallo scopo, dall'inferno dell'obiettivo. Passandoci, attraversandolo, ingaggiando con esso un confronto. E non deviandolo. Allora suonare la propria pratica diviene un luogo di libertà dall'aspirazione, un'uscita dal proposito: “Quando suoniamo il suonare di per sé è la meta. Ed esattamente la stessa cosa è vera nella meditazione. Meditazione è la scoperta che la meta dell'esistenza è sempre raggiunta nell'istante presente" (Alan Watts).

Che è anche l'uscita dall'io. Nella disciplina c'è tanto io, ma la disciplina, nel suo essere disciplina delle scale e degli accordi, è anche disciplina che lavora l'io, fino a quando dell'io non si ha più traccia nel mio fare musica. Jean Klein scrive: “Suonando il violino non è possibile pensare «Io sto suonando il violino». Nel momento del suonare si è completamente coinvolti nel movimento, perciò non vi è spazio per l'idea del suonatore".

Non c'è più il musicista che suona, c'è solo musica che si manifesta attraverso un non più qualcuno. Keith Jarrett: "Devo escogitare un espediente affinché le mie mani inizino il concerto senza di me". Giovanni Allevi: “Già alcuni giorni prima di ogni concerto, sento le mie energie ritirarsi, la mia capacità linguistica si annulla. Mi è difficile persino parlare. Il vuoto si fa strada da solo, per lasciar spazio progressivamente alla musica e all'emozione”.

Non c'è più colui che pratica. C'è solo la pratica. La pratica è la fine del praticante.