Esistono le cosiddette "meditazioni guidate". In esse il praticante è guidato
dalla voce dell'insegnante di turno, il quale lo conduce attraverso un percorso
mentale-immaginifico assai allettante e rilassante. Per es.: "Chiudi gli occhi,
rilassa il tuo corpo. Immagina di essere in un disteso campo d'erba. Sopra di te
il cielo è sereno, ecc.". Queste tecniche hanno un loro effetto piacevole,
soddisfacente e gradevole, sia a livello della mente (che subisce una sorta di
rasserenamento) che a livello del corpo (che si riposa, si distende).
Ciò che, inoltre, rende particolarmente seducenti le meditazioni guidate è il
fatto di offrire a colui che le pratica una gradevole sensazione in
un tempo relativamente breve.
Oppure ci sono forme di meditazione che implicano l'uso di
mantra, cioè di parole o frasi (spesso in sanscrito, ma non solo), che vengono
ripetute vocalmente o mentalmente. Anche in questo caso l'effetto è - come si
può facilmente intendere - rilassante. Certamente la ripetizione continuata di
una certa formula, magari dalle proprietà sonore particolarmente morbide e
rindondanti, conduce la mente a un certo stato alterato rispetto alla
quotidianità.
Sono in uso anche pratiche meditative nelle quali si
visualizzano certe immagini: una figura di una particolare divinità, un mandala,
uno yantra, una forma grafica particolare, una determinata figura geometrica, un
colore, ecc. Un aspetto positivo di questo tipo di lavoro è quello di
fortificare indubbiamente la capacità di attenzione della mente, che - nel suo
stato abitudinario - assai difficilmente riesce a rimanere concentrata su un
oggetto senza sviare da esso dopo poco tempo.
Tuttavia noi, qui, scartiamo questo tipo di impostazioni
della tecnica meditativa (e altre analoghe).
Perché?
Essenzialmente perché riteniamo la pratica meditativa come un atto di
consapevolezza, di lucidità e di indagine profonda della persona. Indagine
profonda che mi sarà possibile solo quando mi porrò in una condizione di ascolto
estremamente attento della mia macchina psico-fisica. La conoscenza di sé
attuata dalla meditazione necessita che il mio sia un impegno teso
all'osservazione del funzionamento del mio corpo, delle mie sensazioni, della
mia mente, dei miei pensieri.
Ripetere mantra, ad esempio, non mi permette di entrare in quello spazio di
conoscenza della mia struttura. Può essere, al limite, un modo per rilassarsi.
Allora, in questo caso, si concepisce la meditazione come quel momento della
giornata o della settimana in cui si stacca la spina, in cui ci si rinfranca un
po', per poi tornare alla solita vita, con i suoi soliti ritmi e le sue solite
influenze nefaste sulla nostra persona. E in effetti molti intendono la
meditazione in questo modo. Noi, qui, no.
Ci impegniamo per una pratica meditativa che incida sottilmente e
silenziosamente nella nostra mente, che non scada in semplice ricreazione mentale. Nessun
cambiamento repentino ed eccezionale. Non si lavora sulla superficie, ma
nell'abisso della mente. La trasformazione sarà quindi tanto impercettibile
quanto profonda. Se vado a un concerto di musica rock, la mia emotività sarà
bersagliata e stravolta in quel paio di ore. Poi tornerò a casa e l'eccitazione,
la foga, l'euforia si stempereranno gradualmente. Passeranno uno o due giorni e
tutto sarà tornato a quel che era prima. Il concerto sarà solo un bel ricordo. È
quasi una legge fisica: la velocità dei cambiamenti è inversamente proporzionale alla
loro durata.
L'osservazione di sé necessita assoluto isolamento in se stessi. Uno studente
che si impegni a risolvere un problema matematico non è agevolato dalla radio
accesa, da qualcuno che gli parli all'orecchio, dalla visione delle immagini che
gli proietta la televisione, ecc. Necessita invece di un grande silenzio per
poter mettere a fuoco il problema stesso, i suoi termini, i dati di cui dispone,
e così via. Per la meditazione, qualcosa di analogo: un mantra mi rilassa, ma mi
tiene fuori dall'investigazione del mio spazio interno. Posso ripetere un mantra
per ore e ore, ma non per questo penetrerò nel funzionamento della mia
struttura. Posso seguire le indicazioni di un maestro, che mi conduce con le sue
parole in una meditazione guidata: sarà un'esperienza crogiolante, ma non
illuminante rispetto alla conoscenza della mia persona. Posso visualizzare le
immagini più complicate e ardite, ma sarò così sviato dalle domande: come sono
fatto, come agiscono i miei pensieri, come incidono sul mio corpo?
Inoltre non ci accostiamo alla meditazione con un approccio
religioso (bensì - al limite - spirituale), dogmatico (optando invece per un
metodo investigativo) e fideistico (scegliendo anzi un orientamento
esperienziale). Pur praticando forme di meditazione buddhista (vipassana e
zazen), non vediamo nel buddhismo (zen o non zen) semplicemente una nuova,
diversa, esotica opzione religiosa tra le altre, ma un metodo, uno strumento,
una disciplina, una pratica di investigazione, di purificazione, di
realizzazione.