Poniamoci nella postura a sedere.
Manteniamo il nostro respiro nel suo stato naturale. Non dobbiamo cioè forzarlo
ad essere qualcosa che non è nella sua naturalezza. Non dobbiamo imitare il
flusso respiratorio che riteniamo appropriato per il vero meditante. Non
cambiamo il nostro respiro da quello che è. Attenzione: è molto importante. È
assai facile cadere in questo trabocchetto, magari inconsciamente: mi siedo e
comincio, con la mia volontà, a cambiare il mio respiro, trasformandolo in ciò
che credo debba essere il respiro di un buddha: leggero, profondo, silenzioso,
ecc. Non va fatto nulla di tutto questo. L'esercizio consiste invece
nell'osservazione del nostro respiro per quello che è. Nessun controllo (nel
senso di modifica cosciente) del flusso respiratorio.
Ricordiamoci bene che la respirazione deve essere addominale (non toracica) e
compiuta con il naso (non con la bocca).
Soffermiamo la nostra consapevolezza sul respiro. Lo si può fare attraverso due
tecniche di osservazione. Scegliamo quale preferiamo e una volta scelta,
perseveriamo in essa.
Prima tecnica. Spostiamo la nostra consapevolezza sul ventre che si espande
(inspirazione) e che si contrae (espirazione). Non vuol dire che lo si debba
visualizzare mentalmente, che lo si debba pensare, ecc. Essere consapevoli della
nostra pancia nella fase della respirazione significa semplicemente e solamente
mantenerci collegati con quella particolare sensazione fisica. La pancia si
espande: sentiamone tutte le sue parti, le sue pareti che si allargano, che si
estendono. La pancia si restringe: sentiamone il suo contrarsi, il suo
rientrare.
Seconda tecnica. Spostiamo la nostra consapevolezza nella zona tra le narici e
il labbro superiore. In questa zona passa l'aria che entra ed esce dal naso.
Soffermiamoci sulla sottile sensazione (di leggero calore o di lieve frescura)
prodotta dal respiro che passa attraverso questo piccolo spazio. Anche qui il
nostro compito è quello di rimanere collegati con questa particolare sensazione
fisica.
In questo esercizio, un errore in cui è facile cadere - soprattutto all'inizio -
è il costringere la respirazione a profonde inspirazioni ed espirazioni, per
poter meglio registrare la sensazione su cui posiamo la nostra consapevolezza
(addome o la zona sotto le narici). Questo è un errore che va evitato.
Ripetiamolo: la respirazione va mantenuta naturale; non la si deve sostituire
con qualcosa di artificioso. L'errore è prodotto dal fatto che può capitare che
i movimenti dell'addome o la sensazione dell'aria che entra ed esce dal naso
siano così impercettibili rispetto alla mia capacità di registrarne l'esistenza,
che sono indotto a muovere maggiormente l'addome o a far passare più aria nel e
dal naso per sentire meglio la sensazione cui mi sto applicando. Invece bisogna
applicarsi al respiro per quello che è: all'inizio sarà qualcosa di arduo da
registrare; poi, con il tempo, diverremo sempre più sensibili a questi piccoli
segnali, penetrandoli sempre più in profondità.
Durante questo esercizio, la nostra attenzione verrà spesso
sviata dal suo lavoro. Il motorino che passa per la strada, il ricordo di una
discussione avuta durante il lavoro, cosa devo fare domani, il giudizio su
quello che sto facendo, ecc. Appunto: distrazioni. La mente vaga, in modo
casuale e incosciente. Soprattutto si ribella al nostro tentativo di soffermare
la sua attenzione su un solo fenomeno. Come rispondere davanti a questa
antipatica situazione? Assolutamente senza opporsi al problema. Assolutamente
senza tentare di eliminare il fenomeno distraente, mettendolo a tacere a forza
di colpi di volontà. Non va rigettato qualcosa che fa parte della nostra
macchina mentale: va invece osservato, riconosciuto. Attraverso il
riconoscimento, l'oggetto osservato si assesterà.
Quindi, in questi casi, spostiamo la nostra consapevolezza dall'osservazione del
respiro all'oggetto distraente: un pensiero, un ricordo, una sensazione fisica,
un giudizio, una fantasticheria, ecc. Questo oggetto, una volta posto sotto
l'osservazione della consapevolezza, quasi come ghiaccio al sole, si liquefarà,
si svuoterà. Come qualsiasi fenomeno, ha avuto il suo inizio, il suo picco e il
suo termine. A questo punto potremo tornare, con la nostra consapevolezza, al
respiro.