A sedere, nella solita postura.
Solitamente negli esercizi di consapevolezza si realizza questa situazione: vi è
un osservatore (siamo noi stessi, appunto nello stato di consapevolezza) che
sottopone alla sua attenzione uno o più oggetti (le sensazioni, i pensieri, le
emozioni, ecc.). Vi è quindi un soggetto osservante e un oggetto osservato.
Soggetto e oggetto: due, dualità. Non uno, unità.
In questo esercizio, invece, la consapevolezza non si indirizza più - diciamo
così - all'esterno di se stessa, ma si rivolge al suo interno, rientra e permane
in sé.
È certamente un esercizio assai arduo, ma soprattutto sul quale è facile cadere
in un errore di impostazione di fondo. Lo sbaglio nel quale si può incorrere
molto facilmente è un atteggiamento errato rispetto a tutto ciò che è estraneo a
questo ripiegarsi della consapevolezza in se stessa: un atteggiamento, cioè, di
contrapposizione, di contrasto, di conflitto, di antitesi.
Bisogna realizzare interiormente uno stato di solitudine. La consapevolezza sola
con se stessa, in se stessa. Naturalmente la nostra meccanica psico-fisica
mantiene i suoi processi: sensazioni, pensieri, ecc. Ma, in questo esercizio,
tali processi avvengono esternamente al nostro stato di consapevolezza. Come se
noi fossimo dentro la nostra stanza fatta di pareti di vetro e fuori potessimo
vedere ciò che accade: il pensiero x, il flusso del respiro, il ricordo y, la
sensazione z, ... Quindi non si mettono a tacere i fenomeni, semplicemente si
sposta l'osservazione sull'osservatore stesso. Ovviamente l'osservatore stesso,
in quanto tale, è vuoto rispetto ai fenomeni e quindi permane in questa
condizione di unità, vuotezza, pulizia, di grande stabilità. Il fenomeni vengono
lasciati a se stessi, nel loro accadere, ma essendo la consapevolezza ripiegata
su di sé, non sottopone i fenomeni a cogitazione, a valutazione, a giudizio: non
viene resa ostaggio del tal o talaltro fenomeno.
Se si svolge questo esercizio correttamente, si ha la sensazione di muoversi sul
filo di un rasoio. Basta un attimo di uscita dal centro, che cadiamo. E infatti
è proprio così: bisogna addestrare questa capacità di mantenersi in uno stato di
equilibrio continuato e vigilantissimo. È difficile, e forse impossibile,
descrivere la condizione in cui ci si viene a trovare durante questa pratica
meditativa: stabilità, equilibrio, unità, silenzio. Una condizione nella quale,
potremmo dire, non vi è nulla, eppure tutto continua per la sua strada. Uno
stato che appare come particolarmente rigenerante.