All'inizio della lezione abbiamo letto un brano tratto da Umano, troppo umano
di Friedrich Nietzsche:
"Che il carattere sia immutabile non è vero in senso stretto; questa frase
corrente significa piuttosto unicamente che, durante la breve vita di un uomo, i
motivi che agiscono su di lui non possono incidere abbastanza in profondità da
cancellare i caratteri impressi da molti millenni. Se però ci si immaginasse un
uomo di ottantamila anni, in lui si avrebbe addirittura un carattere
assolutamente mutevole, sicché da lui verrebbero via via a svilupparsi una
quantità di individui diversi. La brevità della vita umana conduce a parecchie
affermazioni erronee sulle qualità dell’uomo".
Ciò che ci identifica, ciò cui ci
identifichiamo è solo un fenomeno passeggero. Tutto ciò che riteniamo
intimamente nostro, segno di riconoscimento permanente della nostra persona, del
nostro io, in realtà è uno dei tanti attributi che appendiamo al nostro
soprabiti e che scambiamo per nucleo essenziale. Quel nucleo essenziale lo
esperiamo e tocchiamo invece nella pratica meditativa: precedente a qualsiasi
sovrastruttura famigliare, educativa, psicologica, sociale, storica, ecc. Al di
là di tutto ciò che ti può provenire dall'esterno durante la tua vita, cosa sei?
Abbiamo iniziato con la meditazione del
respiro.
Poi la camminata.
Poi l'esercizio del controllo dei pensieri con la domanda: "Da dove viene?".
Successivamente, sempre da seduti, manteniamo uno stato di osservazione 'in
attesa'. Appena una sensazione qualsiasi si affaccia alla nostra consapevolezza
(un prurito, una tensione, una parte che poggia, ecc.) focalizziamo lì la nostra
attenzione fino a che il fenomeno si acquieti, per tornare al nostro stato di
pura osservazione centrata. Un'altra sensazione e di nuovo spostiamo la
consapevolezza su di essa. E così via.
In ultimo l'esercizio di consapevolezza del peso del corpo da sdraiati.
Alla conclusione della lezione abbiamo
raccontato e commentato una storia zen su uno stormo di anatre in volo (clicca
qui).